Il progetto MAPEC_LIFE, approvato nel 2013 dalla Commissione europea, e partito a gennaio del 2014, è il primo grande studio sugli effetti biologici precoci dell’inquinamento, realizzato su bambini di età compresa fra i 6 e gli 8 anni in cinque città italiane: Torino, Brescia, Lecce, Perugia e Pisa. Stamattina, 20 dicembre, ne sono state presentate le conclusioni.
Come, purtroppo, si poteva immaginare, anche tra i bambini sono stati registrati effetti tossici o cancerogeni, sebbene a livelli modesti. Come evidenzia lo studio, è soprattutto il particolato atmosferico (PM 0,5) a incidere di più, si tratta delle polveri ultrasottili disperse nell’aria. «Abbiamo raccolto i dati della qualità dell’aria – ha spiegato la professoressa Elisabetta Carraro, responsabile MAPEC per l’Università di Torino – utilizzando le centraline dell’ARPA nei pressi degli istituti scolastici scelti per l’analisi, abbiamo poi posizionato un campionatore di PM10 nel cortile della scuola». Gli istituti torinesi coinvolti nell’indagine sono tre: la Scuola elementare “Gobetti Sclarandi” (via Baltimora), l’Istituto Comprensivo “Ilaria Alpi” (corso Novara) e il Complesso “Niccolò Tommaseo” (via dei Mille). In totale, l’indagine ha coinvolto 139 classi di 26 scuole primarie.
«Torino – ha proseguito la professoressa Carraro – ha riscontrato una maggiore quantità di polveri sottili (PM 10 e PM 2,5) rispetto alle altre quattro città prese in analisi. E anche una maggiore mutagenicità». Si tratta, cioè, di una modificazione delle cellule a causa di agenti esterni, in questo caso inquinanti. Le analisi, infatti, sono state condotte strofinando uno spazzolino da denti nella bocca dei bambini che sono stati coinvolti, per poi analizzare le cellule raccolte tra le setole.
La capacità di mutazione è stata legata soprattutto alle polveri PM 0,5. «Lo studio – ha precisato la professoressa Carraro – ha confermato la stagionalità di questo inquinante ed un gradiente Nord-Sud, con le concentrazioni più alte registrate in inverno nelle città del Nord-Italia».
«Lo scopo principale del progetto – ha spiegato il professor Giorgio Gilli, responsabile delle attività di dissemination del progetto per l’Università di Torino – è la tutela della salute dei cittadini, attraverso la raccolta di dati scientifici che possano essere di supporto ai decisori pubblici». Il professore ha poi auspicato che l’assessore all’ambiente del Comune di Torino, Stefania Giannuzzi, possa prendere in considerazione i risultati di questa analisi che, oltre all’Università di Torino, ha visto la collaborazione dll’Università degli Studi di Brescia, di Perugia, di Pisa e del Salento, del Comune di Brescia e del Centro Servizi Multisettoriale e Tecnologico di Brescia.