Silvio Saffirio racconta i temi della modernità in Graffi: il suo ultimo libro (Yume Edizioni) che sarà presentato lunedì 14 maggio, in occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino (ore 12.30, Spazio Autori).
Con il suo stile immediato e sintetico, Graffi racchiude l’essenza di Saffirio, un uomo che ha fatto a livelli alti un mestiere moderno: la pubblicità. Ne è stato con i più grandi della sua generazione uno dei protagonisti. Ha creato un’agenzia tra le prime del mercato italiano (oltre 450 collaboratori) e dalla quale sono uscite pubblicità memorabili. Un solo esempio: i giamaicani del bob nello spot di Fiat Doblò, forse lo spot più visto nella storia della pubblicità italiana che valse il Mezzominuto d’Oro su Canale 5 con trionfo nel televoto.
Ha vinto con la sua agenzia la Barbella Gagliardi Saffirio i grandi premi internazionali del mondo pubblicitario. “Ma non l’Oro a Cannes” precisa. Dove però, a Cannes, negli anni fioccarono per la BGS le Nomination, gli Argenti e i Bronzi. Ha lavorato per clienti che vanno da Fiat a Swatch, e da Procter & Gamble a Wind a Giovanni Rana. “Ho anche attraversato un deserto di risultati e di guadagni che è andato dai 25 ai 35 anni, con famiglia a carico” ci tiene ad aggiungere, forse per dare coraggio ai giovani di oggi in cerca di prospettive. Adesso esce con Graffi: “Un libro strano, anche per me, che ora dopo averlo scritto vorrei provare la sensazione irraggiungibile di leggerlo come fossi un qualsiasi lettore”.
Non è alla sua prima esperienza di autore Silvio Saffirio. In precedenza ha pubblicato Gli anni ruggenti della pubblicità (Instar libri), una ricognizione amorevole e scrupolosa sui grandi della sua generazione di pubblicitari, da Emanuele Pirella a Marco Mignani. Vale a dire da Chiquita la banana 10 e lode a O così o Pomì a Milano da bere dell’indimenticabile Marco Mignani con casa a Serralunga. Quel libro rappresenta la fotografia indelebile di un mondo che sapeva di Olivetti, di design, di Fiat, di Barilla, di Ferrero e della moda: un’Italia trionfante ben diversa da oggi. Poi nel 2016 Saffirio uscì con Galaverna (Yume editore), una raccolta di poesie dove la Langa è onnipresente. La Langa “dopo la malora e prima del benessere” così la definisce il suo autore.
Sono assai pochi i libri di poesia che hanno toccato i livelli di vendita di Galaverna. “Sì, anche perché la poesia generalmente non vende…” sorride sornione Silvio Saffirio. “In realtà l’avventura libraria di Galaverna è appena cominciata. È in atto un lento percorso di scoperta e diffusione. Il bello è che mentre gli intellettuali mi ammoniscono poiché risulterebbe di difficile lettura, persone più semplici mi mostrano di capirlo, perché risveglia sentimenti, sensazioni di bellezza, di purezza, di freschezza di quando nella Langa si viveva di poco ma si cantava parecchio, e forse era vera gioia”.
Ed eccoci arrivati a Graffi, il nuovo libro. “Non saprei proprio come definirlo, francamente. Sono contento di non ripetermi. O forse, di ripetermi perennemente, variando quantomeno la formula e il linguaggio”. In Graffi ci sono uscite controcorrente, umorismo permeante, osservazioni profonde e che spesso non ameremmo fare. Un libro dall’apparenza superficiale ma che colpisce in profondità. “Prevedo che sarà il mio libro meno venduto ma forse più amato dai pochi che lo leggeranno”. Lui, Silvio Saffirio, è fatto così.
Ma come entra la Langa in Graffi? “Non si può spiegare in poche parole. Mi limito a dire che il pensiero langhetto che mi ha guidato sempre, tanto da pensare prima in dialetto e poi tradurre in italiano, è una visione del mondo. Quel che ne ho compreso io l’ho travasato in questo libro che non si fa problemi di toccare grandi temi e piccole questioni. Ma sottotraccia c’è sempre il pensiero dei nostri vecchi che non erano dei fessi”.