“Siamo pienamente entrate nell’adolescenza, con questi nostri primi 15 anni”. Così Paola Castagna, responsabile del centro Soccorso Violenza Sessuale, ha aperto il convegno celebrativo all’interno dell’Ospedale Sant’Anna, dove dal 1° maggio 2013 ginecologhe e ostetriche portano avanti un intenso percorso di assistenza a tutte le donne che subiscono abusi. "Il centro ha avuto un'idea illuminante fin dall'inizio – ha spiegato – quella di prendere in carico le vittime di violenza con una visione davvero globale".
E la sua forza, in tutti questi anni, è stata proprio quella di sviluppare competenze interdisciplinari puntando su tante professionalità diverse, ciascuna indispensabile per offrire massima tutela alla paziente. Il tutto sempre contando sulla collaborazione con la prefettura e le forze dell’ordine, in modo da gestire i casi di violenza dal punto di vista sanitario e giudiziario insieme.
E proprio riferendosi alle notizie di cronaca sempre crescenti sulla violenza di genere, l’assessore regionale alle pari opportunità Monica Cerutti ha voluto ricordare l'ultimo caso di femminicidio avvenuto proprio ieri a Rivoli, che ha visto coinvolta un'anziana coppia di 74 anni. "L'età media delle donne che subiscono violenze e chiedono aiuto è aumentata, ma molte ancora non sono a conoscenza dell'esistenza di questi centri di supporto. Bisogna quindi attuare una comunicazione diversa, far sapere il più possibile dove rivolgersi in caso di soprusi”.
“Solo con una collaborazione efficace tra tutti gli attori di una rete antiviolenza – ha proseguito – possiamo scongiurare le conseguenze più drammatiche. Intanto, come Regione Piemonte, siamo orgogliosi dell'eccellenza che il centro Soccorso Violenza Sessuale rappresenta sul territorio".
La storia del centro ha origine dai movimenti femministi sviluppati negli anni Settanta, in particolare dopo l’efferato “massacro del Circeo”, a Roma. Da lì l’urgenza di ripensare lo stupro in termini legislativi, riconoscendone il peso di delitto ai danni della persona, e di venire incontro alle vittime abbandonate a se stesse.
Fino all’apertura, nel 1996, del primo Svs a Milano, cui il presidio torinese si è ispirato.
“Il nostro progetto – spiega la fondatrice, Silvia Donadio – era prima di tutto quello di offrire accoglienza e gentilezza a tutte le donne, cosa non così scontata nelle strutture sanitarie. Tutte noi abbiamo fatto tanta formazione per imparare a rapportarci in modo corretto con i casi di violenza, soprattutto facendo attenzione conservare le prove e non disperderle”.
E in questi 15 anni solo state circa 1580 le donne accolte. Di tante età, estrazioni sociali e provenienze geografiche diverse (anche se lo scarto tra straniere e italiane è minimo, rispettivamente 53 e 47%). Il 20% erano minorenni (anche dai 10 ai 13 anni, alcune in gravidanza), il 15% senza cognizione di quanto successo (per l’effetto di sostanze stupefacenti o alcol). Il 41% conosceva l’aggressore, il 20% vittima di violenza di gruppo, il 21% non ha voluto confessare l’identità dello stupratore.
La prima visita, di prassi, dura circa 2/3 ore. I controlli vengono ripetuti fino a 6 mesi dall’accaduto. Ma l'azione fondamentale resta l'ascolto, unico modo per entrare in empatia con la paziente e permetterle di aprirsi e confidarsi.
L’obiettivo, per tutte le operatrici del centro, resta uno solo: “Fare in modo che le donne, uscite di qui, abbiano almeno riacquistato, in minima parte, l’integrità che è stata loro tolta”.













