Noi ci lamentiamo, ma a quanto pare c'è qualcuno che sta peggio di noi.
Magra consolazione, per il nostro calcio malato ed infiltrato dalla criminalità mafiosa, infatti, rappresentano gli accadimenti di Buenos Aires degli ultimi giorni, legati alla disputa della finale della Coppa Libertadores, l'equivalente nel continente americano della nostra Champions League, tra le due squadre cittadine del Boca Juniors e del River Plate.
Assalto al pullman del River prima della gara di andata alla Bombonera, con vetri rotti e tanta paura, ma partita svolta e terminata sul pareggio per due a due.
Scontata rappresaglia al ritorno al Monumental, con uguale copione, aggravato dall'uso di gas lacrimogeni ed urticanti, oltre alle sassaiole, per un bollettino di guerra che parla di sei giocatori “Xeneises” intossicati e due feriti, con ovvia decisione di non disputare la gara, rimandandola a data da destinarsi.
Ho avuto il piacere, nel 2014, di visitare la capitale argentina in occasione dell’inaugurazione della “Vidrina de la Amistad”, la teca dell'amicizia che il River ha voluto dedicare al Torino all'interno del suo museo, a ricordo della gara della solidarietà tenutasi tra la squadra della “Banda Roja” e il Torino Simbolo, il 26 maggio 1949, all'indomani della tragedia di Superga, per aiutare economicamente i familiari delle vittime e la conseguente storica amicizia che lega le due tifoserie.
Durante la settimana bonarense, oltre ovviamente allo stadio “Antonio Vespucio Liberti” o più semplicemente il “Monumental”, casa del River, ho visitato anche la “Bombonera”, tana del Boca. In entrambi gli impianti, sono rimasto impressionato dalle strutture, che definire fatiscenti, almeno secondo gli standard europei, è poco. Impianti architettonicamente datati, ma sarebbe il meno, con grossi interrogativi sulla filosofia su cui sarebbe stato impostato il tema sicurezza degli spettatori.
Da noi biglietti nominativi, vie di fuga, e maniglioni antipanico, laggiù biglietti contraffatti o stampati in sovrannumero rispetto alla capienza effettiva, gente sistemata ovunque alla bell'e meglio e filo spinato per contenere il pubblico nel settore di destinazione ed impedire scavalcamenti tra settori e verso il campo di gioco. Cose che anche negli stadi della mia giovinezza, anni settanta, ho raramente visto in Italia.
La mia guida di eccezione, Miguel Duval, Millionario di provata fede, collaboratore del Museo River, ambasciatore del Museo del Grande Torino in Sudamerica e soprattutto amico fraterno, che mi ha accompagnato in questo tour argentino, mi ha spiegato le ragioni di tutto ciò.
Secondo il suo racconto, le curve di tutte le società di calcio sudamericane, sarebbero ostaggio di delinquenti comuni, che all'interno degli impianti calcistici fanno e disfano a loro piacere, controllando sia il bagarinaggio dei tagliandi di accesso che lo spaccio delle sostanze stupefacenti consumate dai tifosi.
Questi soggetti si rendono protagonisti di battaglie senza mezzi termini e senza quartiere, per il predominio territoriale, in cui gli omicidi, le sparatorie, gli accoltellamenti e le risse sono il pane quotidiano.
La Federcalcio argentina, nel tentativo di arginare i disordini tra le opposte tifoserie, ha da anni vietato le trasferte. Negli stadi non esistono più i settori ospiti, per la semplice ragione che non esistono più gli ospiti. Punto. Le partite della tua squadra le vedi dal vivo solo in casa. Le trasferte le vedi in TV e basta. Le furiose battaglie del passato, in cui avevano perso la vita decine di tifosi e in cui anche le forze dell'ordine erano state severamente impegnate, pagandone a caro prezzo lo sforzo, avevano fatto dire basta.
Ovviamente questa situazione era figlia di un malessere profondo della società civile, in cui povertà, disoccupazione, delinquenza e disperazione, la facevano da padroni.
Giusto per fare un esempio, che inquadra al meglio la situazione, mentre eravamo in giro in macchina con Miguel, ad un incrocio in un quartiere povero della città, un uomo si avvicina e lava sommariamente il parabrezza. Miguel abbassa il vetro e gli dà alcune monetine. Il disperato si illumina in volto, come se avesse ricevuto chissà che fortuna e lo gratifica di un caloroso “Gracias Jefe!”, grazie capo, tutto raggiante. Aveva avuto il corrispondente italiano di diciotto centesimi di euro. Ero senza parole. Da noi ti avrebbero rotto il parabrezza con la spazzola.
È quindi facile immaginare come, in un quadro generale come questo, lo stadio, oltre che valvola di sfogo di tutta una serie di problemi, sia anche per molti una sorta di posto di lavoro, in cui portare a casa la pagnotta, per i peones e ostriche, caviale e champagne, per i boss.
Se quindi è vero che al peggio non c'è mai limite, ed alla luce della recente indagine giornalistica di Report, che metteva in evidenza una situazione di contiguità tra la ‘Ndrangheta e alcuni esponenti del tifo bianconero, oltre che di alcuni dipendenti e la cui prima conseguenza è stato un atto intimidatorio nei confronti del giornalista che ha firmato il servizio, non mi pare così fuori luogo chiederci quando si arriverà anche qui a certi livelli.
A quanto pare la strada è già stata imboccata, e non da oggi. Sia dal lato “calcistico”, diciamo così, che da quello della società civile, i presupposti ci sono tutti. Da una parte, le infiltrazioni e le “liaisons dangereuses” tra delinquenti, presunti tifosi e società spregiudicate, sarebbero documentate. Dall’altra la forbice, sempre più aperta, tra i ricchi ed i poveri, sempre più numerosi e disperati e quindi pronti a tutto, anche ad un arruolamento tra le fila della criminalità, sono facilmente immaginabili. E non ci dimentichiamo che il “Panem et Circenses” con cui generazioni di politici hanno tenuto a bada i furori delle folle, è stato inventato qui duemila e cinquecento anni addietro.
Quale futuro dunque, per il nostro calcio? Siamo ancora in tempo a porre un freno a questa escalation e a dare una sterzata verso quegli “stadi per famiglie” così auspicati, almeno a parole, dall’UEFA?
Ma soprattutto, c'è la volontà reale di andare in questa direzione o fa tanto comodo lo status quo imperante oggi?
Da queste risposte dipende il domani del gioco più bello del mondo. Agire subito o pentirsi per sempre delll’ndolenza odierna, ecco il dilemma. Ai posteri raccattare i cocci, se non si fa qualcosa subito.