Adesso è ufficiale: con l'annuncio del nuovo DPCM da parte del presidente del Consiglio Conte, da martedì 14 aprile anche le librerie potranno rialzare le serrande. A moltissimi librai torinesi, però, questa decisione non è andata giù, convinti che la scelta non tuteli i lavoratori, sia in contrasto con la situazione di emergenza sanitaria e avvantaggi la grande distribuzione.
Tra le opinioni più dure c'è quella di Mattia della Libreria del Golem di Via Rossini: “Farci riaprire – tuona – perché siamo un simbolo è un insulto vero e proprio al nostro lavoro quotidiano: sarebbe ora di uscire dalla retorica ottocentesca che ci vuole come luoghi dell'anima e iniziare a tutelare seriamente tutte le professionalità della filiera. Riaprire, inoltre, significa consentire l'accesso anche agli scaffali della grande distribuzione, dove attualmente si riversa la maggior parte delle persone; se non ho nuove uscite e i distributori lavorano a singhiozzo, perché dovrei rinunciare alle mie trenta o quaranta consegne a domicilio giornaliere per stare in negozio ad aspettare una clientela che non può o non vuole uscire?”.
Sulla stessa lunghezza d'onda è anche Elisa della libreria Ca'libro di Via Santa Giulia, sempre nel quartiere Vanchiglia: “Saremo – commenta – come cattedrali nel deserto: ci chiediamo, a proposito, in quanti si muoveranno alla volta delle librerie e se sia opportuno ribaltare improvvisamente le cose vista la fatica fatta da tutti per adattarsi alla situazione anche con le consegne a domicilio. Le librerie, inoltre, sono luoghi di ritrovo e scambio, che senso avrebbe riaprire se alle persone viene detto di restare a casa mantenendo il distanziamento sociale? Avessero interpellato la filiera probabilmente la decisione sarebbe stata diversa”.