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Economia e lavoro | 22 dicembre 2020, 07:26

Le piccole e medie imprese di Torino archiviano il 2020 col "rimbalzo": "Ma il 2021 sarà ancora difficile"

Il presidente di Api Torino Alberto: "Ancora tanto uso della cassa integrazione, investimenti in calo". Intanto lo smart working coinvolge ancora il 75% delle imprese dei servizi

Il presidente di Api Torino Corrado Alberto

Le previsioni di Api Torino - nella foto il presidente, Corrado Alberto - non sono positive per il 2021

Un rimbalzo c'è stato, ma potrebbe trattarsi di un sussulto, un'illusione. Non mostra segni di grande ottimismo la nuova indagine congiunturale di Api Torino, che tiene il polso del mondo delle piccole e medie imprese del capoluogo e della sua provincia. Scorrendo le cifre, infatti, si registra un parziale recupero rispetto al primo semestre dell'anno, ma i mesi a venire non promettono nulla di buono.

L'indagine ci rivela almeno due cose – commenta il presidente di API, Corrado Alberto -. Da un lato la capacità delle nostre imprese di reagire di fronte alle enormi difficoltà che Covid-19 ha generato, dall’altro la necessità di adottare politiche industriali espansive ben più importanti e decise di quelle fino ad oggi adottate”. “Non è certo con una serie di prestiti agevolati oppure di rimandi di scadenze fiscali-tributarie che si risolve il problema della crescita in Italia - prosegue -. E’ necessario invece mettere mano, per esempio, ad azioni volte ad eliminare una macchina burocratica che pesa quasi più di una pandemia, a risolvere carenze infrastrutturali figlie di una incapacità progettuale atavica, a superare la concezione di una politica che non è al servizio del Paese ma di se stessa. Di fronte a quanto accaduto occorre l’impegno di tutti. Anche le imprese devono quindi contribuire al rilancio del Paese che, tuttavia, deve essere obiettivo di tutti”. 

Ma proprio i numeri raccontano bene l'immagine di un'economia locale che ha vissuto un anno letteralmente spaccato in due (e messo in ginocchio dall'avvento della pandemia da Covid-19). Nella prima metà un brusco crollo, mentre nel secondo semestre si assiste ad un rimbalzo dei principali indicatori congiunturali aziendali che porta i saldi relativi a Produzione, Ordini e Fatturato da circa -80% a circa +20%. "Complessivamente – spiega il direttore dell’Ufficio Studi dell’associazione, Fabio Schena -, la crisi sopravvenuta nel corso del 2020 restituisce un quadro economico critico e particolarmente fragile, con evoluzioni di difficile prevedibilità. In questo contesto, per una quota non marginale di PMI potrà essere messa in discussione la stessa continuità aziendale”.

E il rimbalzo, appunto, non basta a strappare sorrisi: dietro l'angolo, infatti, non c'è l'uscita dalla crisi. Non ancora, almeno. Le previsioni per il prossimo semestre riportano nuovamente gli indicatori su valori negativi: produzione: -2,9%, Ordini: -1,9% e fatturato: -4,8%. 

Il nuovo saldo “ottimisti-pessimisti” è pari a +1%: da un lato, indica un ridimensionamento delle forti preoccupazioni degli imprenditori torinesi dichiarate sei mesi fa (-46,6%), dall’altro il dato conferma una diffusa ed evidente incertezza sulle evoluzioni di uno scenario così imprevedibile. Il 9,7% degli imprenditori intervistati dichiara un netto pessimismo, percentuale che sale fino al 12% nel caso di imprese meno strutturate («fino a 9 dipendenti») e nel caso di quelle che operano esclusivamente sul mercato domestico. “Per i prossimi sei mesi – dice ancora Schena -, rimane elevata la percentuale di imprese che prevede di ricorrere alla Cassa Integrazione (43,4%) e si riduce la propensione verso nuovi investimenti (dal 53,4% al 48,5%)”.

Diminuiscono le aziende che denunciano crediti scaduti. Il fenomeno, tuttavia, continua a colpire un numero ancora significativo di PMI (64,9% contro il precedente 71,5%). Il ritardo medio si acuisce passando da 5,3 a 5,8 mesi. 
Ma uno dei fenomeni più dirompenti di questo periodo è senza dubbio quello dello "smart working": il 40,4% delle imprese sta attualmente ricorrendo al lavoro agile, percentuale che sale al 54,5% nel caso di imprese con “oltre 49 dipendenti”. Nella maggior parte delle società di servizi l’impiego del lavoro agile coinvolge oltre il 75% dei dipendenti, mentre nelle imprese manifatturiere il ricorso al lavoro agile riguarda percentuali ridotte (attorno al 10% dei dipendenti).

Massimiliano Sciullo

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