Una pandemia che non fa sconti, nella vita privata di tutti i giorni come nei grandi sistemi complessi a livello globale. Non fa eccezione, ovviamente, il mondo dei mercati che sposta merci ai quattro angoli del pianeta e che - dopo oltre un anno di convivenza forzata con il Coronavirus - paga un conto piuttosto salato, rispetto ai tempi di "normalità".
Proprio il flusso internazionale delle merci è un buon "termometro" della situazione: il 60% delle merci mondiali circola a mezzo di navi container. Secondo i dati economici delle Nazioni unite ci sono oltre 180 milioni di container nel mondo. Alternative? Troppo costose (quelli via treno costano il 48% in più per risparmiare circa dieci giorni in tutto). Ma i costi sono lievitati ancora di più proprio a causa della pandemia: pre-crisi, un container di 40 piedi dall’Asia all’Europa costava tra i 1.200 e i 1.300 dollari, ma già ad Ottobre il costo si aggirava sui 3.000 dollari. Un raddoppio abbondante, che però a ridosso del capodanno Cinese (che quest’anno è stato il 12 Febbraio) è esploso fino ad arrivare a un costo di oltre 9.000 dollari a container. Spese cui si aggiungono ritardi e poco preavviso.
Una situazione che arriva a interessare anche il territorio torinese e piemontese, come sanno bene presso Adaci, Associazione Italiana Acquisti e Supply Management, da sempre attenta al territorio, ma anche ai cambiamenti che intervengono dal generale al particolare, nel mondo dell'economia e della fornitura e degli approvvigionamenti. "Quello dei rincari dei costi è un meccanismo che stiamo sentendo anche in Piemonte e a Torino, così come nel Nord Ovest - spiega Gianluigi Bodda, tesoriere e consigliere ADACI nella sezione Piemonte Valle d’Aosta - anche perché buona parte delle cose che entra nelle nostre case arriva dai Paesi emergenti e dunque è sottoposto a questi fenomeni di rincari. Fenomeni che sono legati alla pandemia, ma anche ad altre concause, fino ad arrivare a vere e proprie speculazioni".
Quali ragioni hanno causato questa situazione ?
"Con l’esplosione della pandemia da Covid-19 la produzione globale e le esportazioni si sono bloccate. La domanda di stiva è crollata, conseguentemente gli armatori (in difficoltà) hanno reagito, tenendo le navi ferme, riducendo drasticamente i viaggi (con equipaggi sfoltiti, parcheggiati a casa o sulle navi stesse, non più ruotati). Dopo il lockdown Cinese, la Cina ha ricominciato a produrre e ad esportare ma gli armatori non hanno rimesso in servizio la stessa stiva del periodo pre-Covid. Hanno lasciato le navi agli ormeggi, preferibilmente in rada (dove non si paga la sosta) e hanno ripreso a viaggiare con una offerta di stiva ridotta".
La fame di spazi ha fatto quindi salire i noli. E' così?
"Oltre a questa prima causa c’è da dire che, nell’ultimo anno l’Europa ha esportato relativamente poco in Asia. Ma le economie orientali, soprattutto quella cinese, sono ritornate di nuovo a pieno regime già a partire dall’estate 2020. Migliaia di container vuoti sono rimasti bloccati in Europa e negli Stati Uniti nella prima metà del 2020 quando le società di navigazione hanno annullato centinaia di viaggi a causa dei lockdown per il coronavirus. C’è un enorme numero di container fermi nel mezzo del nulla, in Australia, nell’Europa occidentale, negli Stati Uniti, creando una tempesta perfetta che impedisce ai container di tornare in Asia”.
Ma non c'è solo questo.
"Il passaggio da un crollo delle spedizioni a una richiesta molto elevata ha mandato in crisi la filiera delle spedizioni, con una forte congestione nei porti commerciali. Le società di trasporto che per compensare i tempi di attesa hanno aumentato i listini con la conseguente crescita dei prezzi delle spedizioni internazionali. È chiaro che questi aumenti spropositati sono figli di speculazioni e di manovre opportunamente orchestrate dalle compagnie marittime che cercano di massimizzare i loro profitti ed è anche chiaro che i costi non potranno rimanere su questi picchi ma, è facile pensare, che le tariffe di trasporto si stabilizzeranno intorno ai 4.000 – 5.000 dollari il prossimo anno (che sono sempre il doppio rispetto a un anno fa)".
Ma oltre alla pandemia ci si mettono anche altri fattori straordinari, come il blocco del Canale di Suez.
"Quando si iniziava ad intravedere un trend di ribasso dei prezzi ad un certo punto nel Canale di Suez è transitata l’Ever Given, la portacontainer da 220mila tonnellate e carica di 20mila box che si è incagliata a fine marzo bloccando per una settimana una delle rotte commerciali più servite del globo. Il blackout sulla via d’acqua da cui passa il 12% dei traffici globali, il 30% delle portacontainer, il 10% del petrolio scambiato via mare, ancora deve dispiegare tutti i suoi effetti in termini di congestionamento dei porti di scarico. Questo sicuramente non aiuterà a invertire l’andamento dei prezzi".
Se da un lato, però, l'economia industriale soffre, c'è chi sorride
"Questi dati sono una manna per le grandi compagnie di navigazione. Per loro, paradossalmente, è stata una annata d’oro, perché mai nella storia i big dei container avevano registrato così lauti guadagni, arrivando a chiudere il quarto trimestre del 2020 con nove miliardi di dollari netti di incasso. E il 2021 non sarà da meno. Risultati da record ottenuti grazie alla riduzione “pilotata” della capacità delle navi da parte dei grandi operatori che ha avuto un impatto diretto sulle oscillazioni del prezzo dei container, e di riflesso sulla merce trasportata. I “giganti del mare” sono riusciti in altre parole a trarre vantaggio dalla loro posizione dominante. Le grandi compagnie sono infatti riunite in “alleanze” che funzionano in modo simile ai cartelli o trust. Sono tre: 2M, Ocean e The Alliance, e rappresentano circa l′80% del traffico container mondiale".
E l’Europa, in questo momento, cosa fa?
"Per ora resta a guardare, nonostante gli uffici dell’Antitrust guidati dalla danese Margrethe Vestager siano già a conoscenza, da tempo, delle storture legate alle alleanze. Di fronte all’inazione di Bruxelles, le maggiori associazioni rappresentative della filiera a livello europeo hanno scritto alla Commissione per chiederle formalmente di avviare una indagine formale ma, ad oggi, con scarsa fortuna. Una volta di più, ci rendiamo conto della fragilità dei nostri sistemi globali e questo deve farci riflettere non poco su quanto abbia senso continuare con gli stessi modelli di catena di fornitura o se vale la pena ridisegnare le nostre strategie di approvvigionamento partendo da altri presupposti. Mai come oggi, nulla è scontato e tutto cambia rapidamente".
Si tornerà indietro, sui prezzi e non solo?
"Come in tutti i cicli industriali, dopo un picco ci sarà sicuramente una diminuzione. Anche se non è detto che i livelli tornino a essere esattamente quelli di partenza. E a pagarne il conto sarà l'utilizzatore finale, spesso ignaro di quel che succede e delle dinamiche che ci sono alla base. Ma mai come oggi, la globalizzazione potrebbe essere arrivata a un punto di svolta".
ADACI, oltre 50 anni di associazione
Fondata nel 1968, ha costituito fin dalle sue origini un preciso riferimento culturale e professionale per chi opera negli Approvvigionamenti, Supply Management, Gestione Materiali, Logistica e Facility Management: funzioni in costante evoluzione il cui ruolo ha assunto nel tempo importanza strategica e dimensioni di sempre maggior rilievo.
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