Uno dei problemi principali degli agricoltori è sempre stato quello di avere un luogo fresco entro cui conservare le merci prodotte fino alla vendita, ritardandone il più possibile il deperimento.
Per farvi fronte, nella seconda metà del XIX secolo vennero creati i primi infernotti, una sorta di cantine scavate nell'arenaria o nel tufo della grandezza compresa tra 5 e 9 metri quadri, nelle quali gli agricoltori e le famiglie contadine conservavano il vino ed anche carni e verdure grazie a particolari spazi per il ghiaccio. Ricavati da persone prive di particolari conoscenze in ambito ingegneristico ed architettonico e rimasti intatti grazie alla straordinaria resistenza dell'arenaria, gli infernotti - infernot in piemontese - erano diffusi nelle campagne piemontesi, in particolare nel Basso Monferrato Casalese.
Ma forse non tutti sanno che anche sotto la città di Torino si apre un dedalo di infernotti, cunicoli che, come in un negativo fotografico ripercorrono, in un corrispondente labirinto ipogeo, le traiettorie disegnate dall'intreccio di strade in superficie.
Tra l'altro, gli infernotti cittadini sono stati "teatro" di storia e di cronaca, nei numerosi eventi che li hanno visti protagonisti.
Pare, infatti, che tali cunicoli siano stati, in epoca risorgimentale, le vie di fuga di carbonari e anche di criminali: ad esempio quelli sotto il caffè del Progresso erano talmente estesi da permettere, in caso di irruzione delle guardie sabaude, la fuga verso la Fetta di Polenta o corso San Maurizio. Quelli sotto il cimitero di San Pietro in Vincoli consentivano la fuga verso via Garibaldi; quelli presenti sotto un edificio di via delle Orfane, invece, erano utilizzati come via di fuga dai mazziniani.
Gli episodi di cronaca nera al centro della storia degli infernotti, invece, furono due.
Il primo avvenne il 12 gennaio del 1902 quando Veronica Zucca, la figlia del titolare del caffè Savoia, scomparve nel nulla. I sospetti ricaddero su un ex cameriere del bar che fornì un alibi inattaccabile e, pertanto, venne immediatamente rilasciato. Diversi mesi dopo, quando un falegname venne convocato per effettuare alcuni lavori di manutenzione nei sotterranei, rinvenne il baule che accoglieva il corpo della piccola Veronica, martoriato da ben 16 coltellate. Nonostante numerosi sospettati, non potè essere avanzata alcuna accusa.
Nel maggio del 1903, poi, scomparve una seconda bambina, Teresina Demaria, che abitava in un condominio di via della Consolata. Fortunatamente ella venne ritrovata viva poco dopo. Il portiere di quel palazzo ricordò di aver fornito le chiavi degli infernotti di pertinenza ad uno spazzino, tale Giovanni Gioli, psicologicamente semi infermo. Durante il processo contro di lui, Gioli non confermò le accuse relative a nessuna delle due scomparse, ma venne comunque condannato a 25 anni di carcere. Dopo 8 anni morì, portando via con sé ogni possibilità di scoprire qualcosa in più sull'assassinio di Veronica Zucca.
Tornando alla storia, durante la seconda guerra mondiale gli infernotti vennero utilizzati come rifugi antiaerei di fortuna, mentre negli anni successivi alcuni di essi videro nuova vita nella riconversione in luoghi di incontro culturali e locali mondani, frequentati da figure di spicco tra cui Cesare Pavese e Norberto Bobbio.
Attualmente è possibile visitare gli infernotti prenotandosi ai tour guidati in italiano e in diverse lingue estere.