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| 10 ottobre 2024, 11:43

Fossat racconta la ‘sua’ Bibiana: per 42 anni è stato il medico di base

Aprì il suo ambulatorio in via Nazario Sauro nel 1982 e non portò quasi mai il camice, ma solo lo stetoscopio al collo come segnale e per avere un migliore rapporto con i pazienti

Il medico Lorenzo Fossat con il suo stetoscopio

Il medico Lorenzo Fossat con il suo stetoscopio

Ha visto Bibiana ‘diventare come New York’ e la medicina evolversi talmente velocemente che ora la gente potrebbe stare decisamente meglio se solo non si lasciasse travolgere dall’ansia. Lorenzo Fossat è stato il medico di base del paese per 42 anni ed è andato in pensione martedì 1° ottobre. Ha riposto quindi lo stetoscopio, che in servizio portava costantemente al collo come segnale, visto che preferiva non usare il camice: “L’ho indossato solo durante la pandemia o quando era indispensabile come per le medicazioni. Farne a meno mi ha premesso di avere coi pazienti un rapporto più sciolto” racconta.

La chiusura di quello che è stato sempre il suo ambulatorio – in via Nazario Sauro 9 – ha creato preoccupazione in paese, tanto che i cittadini hanno raccolto le firme per chiedere all’Asl To3 una sua rapida sostituzione. “Mi spiace che nessun collega da Torre Pellice e Luserna San Giovanni abbia deciso di scendere a Bibiana per occuparsi anche dei miei pazienti. In paese si sta bene, l’ambiente è sano, e sono certo che il mio sostituto si troverebbe benissimo. Spero che si arrivi presto ad una soluzione perché Bibiana merita qualcosa di più” commenta.

L’amore per Bibiana con il suo ‘bialot’

Lui, che da giovane sognava di fare lo psicoterapeuta, si laureò in medicina nel 1980 e, dopo due anni come guardia medica a Perosa Argentina, e come medico al centro tossicodipendenze di Pinerolo, nel 1982 aprì il suo ambulatorio a Bibiana, anche se avrebbe potuto scegliere di lavorare a Torre Pellice o a Luserna San Giovanni: “Non so dire il motivo per cui scelsi questo paese. Forse per quella sensazione che si prova qui di essere sul ‘confine’ – sorride –. Ed effettivamente è posto sul confine tra montagna e pianura, torinese e cuneese”. Ma poi di Bibiana, e soprattutto del suo centro storico, si innamorò: “Ci sono edifici settecenteschi bellissimi e alcuni sono anche più antichi. Mi ricordo quando il ‘bialot’ successivamente interrato scorreva in centro, raccogliendo l’acqua dalla collina e dal ‘Pertus del Diao’: sembrava di giungere in un antico villaggio inglese”. Nei decenni successivi vide crescere la popolazione per poi arrivare a testimoniare, per alcuni aspetti, lo spegnersi delle vitalità: “Sono cresciuti soprattutto i quartieri nuovi e ho visto aumentare il numero di residenti. Tuttavia il paese si è trasformato in un ‘dormitorio’ da dove si stanno allontanando anche i servizi. Da qualche mese, infatti, non è nemmeno più possibile acquistare un giornale”.

Come a New York

L’arrivo degli immigrati a Bibiana è stato uno stimolo per il suo lavoro: “Negli ultimi anni mi capitava di affacciarmi in sala d’aspetto e pensare: ‘Ma dove sono?! A New York?’. Su dieci pazienti infatti sei erano stranieri e anche quando andavo a fare le visite a domicilio avevo un’impressione simile: nei palazzi su otto citofoni, almeno sei o sette portavano un nome e cognome non italiano”. Il cambiamento del tessuto sociale ha imposto nuove attenzioni: “Ad esempio per i pazienti cinesi, che erano numerosi, dovevo ricordarmi di dimezzare il dosaggio delle statine. Ma a parte alcune differenze, una volta che riuscivo a entrare veramente in contatto con loro, mi accorgevo che le esigenze erano sempre le stesse”. L’incontro con culture e situazioni diverse è uno degli aspetti che il dottore rimpiangerà di più del suo lavoro: “Inoltre c’era chi mi aiutava: spesso gli adulti cinesi si facevano accompagnare dai figli che sapevano perfettamente l’italiano e traducevano. C’era anche un ex scalpellino di Bagnolo che aveva imparato il cinese che faceva per loro il traduttore”.

“La gente sta meglio, se lo vuole”

C’è un’altra evoluzione di cui Fossat è stato testimone: “Se pensiamo che all’inizio del mio lavoro prescrivere una tac o un’ecografia sembrava avveniristico, ci rendiamo conto quanto i cambiamenti siano stati veloci. E la rapidità è stata tale che, nel mio lavoro, il rischio era di rimanerne travolto”. I progressi nella medicina hanno modificato la professione: “Non avevamo a disposizione, ad esempio, gli inibitori di pompa ora ampiamente diffusi per la cura di ulcere e gastriti”. Anche la vita dei pazienti è cambiata: “Oggi la gente sta immensamente meglio di quarant’anni fa, se lo vuole. Infatti, non siamo mai stati curati così bene nella storia ma, al tempo stesso, siamo più ansiosi”.

Fossat ricorda con tristezza il periodo della pandemia: “Avevo oltre sessant’anni e rientravo tra i soggetti a rischio. Sono stati tempi veramente pesanti e cupi, mi si è riaccesa la speranza solo con la messa a punto del primo vaccino”. Secondo lui è difficile capire se da quella tragedia le persone abbiano imparato qualcosa di positivo: “Forse l’importanza della prevenzione. Mi ricordo che quando era in uso la mascherina la prescrizione di medicinali per la tosse era diventata rara”.

Nel futuro le sue passioni

Proprio la prevenzione crede possa migliorare il futuro: “Nei primi anni Duemila a un certo punto mi stufai di vedere arrivare in ambulatorio pazienti con tumore al colon già in stadio avanzato. Cominciai così a prescrivere quasi a tappeto l’esame che permette di individuare il sangue occulto nelle feci: in questo modo sono riuscito a intercettare una dozzina di tumori ancora in fase iniziale e una trentina di poliposi. Allora i miei colleghi mi prendevano in giro per questa cautela, ora la Regione ha inserito l’esame tra gli screening di base”.

Nel suo di futuro Fossat vede corsi d’acqua e città d’arte: “Da pensionato penso che mi dedicherò di più alle mie passioni come la pesca e i viaggi”.

Elisa Rollino

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