Capolinea. La fine di un cammino che già era apparso tortuoso e in salita, ma che adesso rischia davvero di essere arrivato al termine, nella maniera peggiore, per 224 dipendenti. O almeno gli attuali 144 rimasti (circa 80 sono stati ricollocati o sono comunque fuoriusciti) e, entro il mese di luglio, dovrebbero trovare una sistemazione altri 12. Si tratta della vicenda della TE Connectivity, multinazionale svizzero-statunitense che nei mesi passati aveva annunciato la decisione (mai ritrattata) di chiudere lo stabilimento di Collegno per delocalizzare verso Usa, Cina e altri Paesi la produzione di connettori, fibre ottiche e altri materiali tecnologici.
Nella giornata di oggi un nuovo incontro si è svolto in Regione, ma l'esito è stato ancora una volta un nulla di fatto. Già in passato, infatti, ogni ipotesi di reindustrializzazione da parte di nuovi investitori aveva dovuto fare i conti con le tensioni geopolitiche e i costi dell'energia. Ma ora la situazione è ancora peggiore, anche alla luce dei dazi americani.
"La dirigenza della Te Connectivitiy Italia - dicono i sindacati - ci ha formalizzato il disinteresse dei potenziali investitori a incontrare la Regione a causa della situazione geopolitica globale, tra cui i dazi americani. Con profondo sconforto si ufficializza oggi la mancata reindustrializzazione". Resta la corsa contro il tempo per inserire nei programmi GOL di formazione regionale tutto i dipendenti ad oggi ancora presenti in azienda.
“Chiude per sempre un sito importante collegnese capace di produrre connettori elettrici per un’ampia gamma di destinazioni industriali, un sito che ha fatto storia con i cablaggi costruiti per l’Apollo 11 - dice Diego Spinazzola, Fim Torino -. Perdiamo un polo di competenze manuali e tecniche che avrebbe dovuto essere il fulcro attrattivo per altre aziende nelle dichiarate intenzioni della multinazionale uscente. Ci lascia perplessi, nuovamente, la ricerca di investitori lasciata ed appaltata interamente ad una società privata scelta dalla stessa multinazionale in partenza; la scelta di affidare la reindustrializzazione a società private e non gestite dal pubblico, quali possano essere le Istituzioni, si è rivelata, fallimentare".
E Giorgia Perrone, della Fiom Torino, aggiunge: “Continua con la Te Connectivity lo smantellamento del tessuto industriale piemontese senza che venga approntato un piano industriale ed energetico che fermi l’emorragia di posti di lavoro. Questa è una grave responsabilità politica di tutti i governi nazionali e regionali che si sono succeduti negli ultimi 30 anni, inclusi quelli in carica attualmente. I lavoratori della TE e le loro famiglie contribuiranno alla composizione del triste mosaico di un territorio già lacerato da chiusure aziendali, licenziamenti collettivi, dalle richieste di ore di cassa integrazione tra le più alte in Italia, dalla preponderanza di contratti precari e lavoro povero. Non si può appaltare la reindustrializzazione a società private che, oltre a cercare potenziali aziende subentranti, vendono servizi di outplacement di dubbia utilità (l’unica vera certezza di questi processi di reindustrializzazione). Le aziende si lavano le coscienze, la Regione è sollevata dall’onere di ricerca di investitori e a pagare il prezzo sono i lavoratori e le lavoratrici”.
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