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Attualità | 24 giugno 2025, 09:44

Massimiliano Alaimo: il profondo cambiamento della cucina e la sfida dei piatti piemontesi

Lo chef de Le Calandre di Rubano, qualche giorno prima di guadagnarsi il 31° posto nella classifica internazionale dei 50 Best Restaurants, ha risposto a qualche nostra domanda, facendo il punto sul presente della cucina e sulla necessità di riscoprire i gusti del passato

Massimiliano Alaimo: il profondo cambiamento della cucina e la sfida dei piatti piemontesi

È cresciuto tra profumi, fuochi e intuizioni: la sua infanzia è stata un gioco serio dentro Le Calandre, dove la cucina era casa e mamma Rita la prima maestra. Dopo l’Istituto Alberghiero ad Abano Terme e un apprendistato d’élite con Chiocchetti, Veyrat e Guérard, a soli 20 anni prende il timone dei fornelli di famiglia. Nel 2002, a 28 anni, conquista le tre stelle Michelin: il più giovane chef al mondo a riuscirci. Oggi, Massimiliano Alajmo è molto più di uno chef. È mente creativa e direttore d’orchestra delle Calandre di Rubano, nel Padovano, e di tutto ciò che intorno a questo locale, collocato al 31° posto della classifica dei 50 Best Restaurants, si muove e gira. Ed è a lui che, stimolato dalla lucidità del suo intervento alla presentazione dell’evento internazionale in corso a Torino la scorsa settimana, ho posto alcune veloci domande.  Ecco le sue risposte:

Nel tuo intervento hai sottolineato come il mondo della cucina attuale sia profondamente cambiato rispetto al passato. In che cosa consiste questo cambiamento?

“Quando io ho cominciato a lavorare nelle cucine, in queste ultime vigeva la segretezza. Immaginati che cosa voleva dire questo nella testa di un ragazzo che, come me nello specifico contesto di allora,  si accingeva a intraprendere una via che lo avrebbe condotto – almeno così speravo - a diventare chef. Il traguardo lo vedevi come una conquista da realizzare giorno per giorno in cucina con umiltà, tenacia, costanza. E anche con un certo stupore nel vedere la foto di Gualtiero Marchesi sulla prima pagina di una rivista importante. Proprio questa foto però, forse, era il segnale che qualcosa stava già cambiando.

In che senso quella foto era un sintomo di cambiamento?

Nel senso che l’immagine dello chef era sul punto di cambiare. E sarebbe proprio stato questo che sarebbe successo nei decenni successivi. Così oggi, a mio modo di vedere, l’aspetto della cucina come conquista, così come l’ho vissuto io, è venuto completamente meno. Tuttavia, anche in questo mutato contesto, il sogno che ha alimentato il mio percorso per divenire chef non può svanire del tutto. Certo il paradigma è completamente cambiato, a seguito da una parte dell’avvento in cucina di tecnologie che alla mia epoca nessuno si sarebbe immaginato e dall’altra del nuovo rilievo sociale e mediatico che la figura dello chef ha assunto. Oggi dunque, per un ragazzo che intenda diventare chef, occorrerà continuare a mantenere vivo il sogno che la cucina non ha comunque smesso di rappresentare.  Ma che dovrà essere mantenuto vivo, in un modo completamente diverso dal passato, puntando sulla profondità. È questo il nuovo parametro che consentirà alla cucina, oggi radicalmente cambiata, di restare comunque sé stessa.

Che idea ti sei fatto negli anni, dal tuo punto di vista di protagonista della cucina italiana dei nostri giorni, della cucina piemontese?

Io adoro la cucina piemontese per la sua genuinità e la sua forza. Ti faccio un esempio: la finanziera è un piatto che mi affascina. Così, ogni volta che incontro uno chef che la sa fare come si deve – e non se ne trovano più così facilmente – mi faccio spiegare nei minimi dettagli i diversi passaggi che portano al risultato che ho assaggiato. E questo perché credo che recuperare i sapori di piatti come questo rappresenti la sfida del presente: tornare ai gusti delle nostre radici. Forse, dopo l’esplorazione dei sapori legati all’etnico, è venuto ora il momento di riscoprire i nostri sapori di un tempo, anche se in una prospettiva volta a valorizzarli al meglio.

Proprio questi gusti non rischiano però di andare perduti? Gli ingredienti della finanziera di oggi ci restituiscono davvero la finanziera di ieri?

È proprio per questo che occorre riscoprire i sapori di un tempo. Certo farlo non è semplice perché, ad esempio, la trippa lavata coi sassi come si faceva una volta non la si trova più. Ed è proprio sugli ingredienti che occorre lavorare. Qualcuno in questi giorni mi ha parlato del ripristino degli avanotti nelle risaie o dell’allevamento del salmerino in acqua di sorgente. Sono progetti pazzeschi che puntano a ricuperare pratiche che in passato erano ordinarie e che garantivano proprio quella cucina genuina che noi oggi dobbiamo ritrovare. E che potremmo riscoprire anche grazie a progetti come questi, gli unici in grado di restituirci quella materia prima senza la quale il nostro sforzo di tornare ai sapori di un tempo finirebbe con l’essere destinato a fallire.

Piergiuseppe Bernardi

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