Molti lettori mi hanno scritto condividendo dubbi, domande e perfino piccole paure legate al proprio rapporto con il cibo dopo la pubblicazione di alcuni miei articoli sul cibo FIT a tutti i costi. Segno che il tema non solo è attuale, ma tocca tutti da vicino: tra diete perfette, proteine ovunque, demonizzazioni di alimenti e una costante pressione social a essere “fit”, non è difficile scivolare dal benessere consapevole a un controllo eccessivo che può trasformarsi in disagio.
Viviamo in un’epoca in cui il concetto di “mangiare sano” rischia di essere interpretato come una regola rigida, quasi un obbligo morale, più che come una scelta di equilibrio e cura di sé. Le immagini patinate dei social, i consigli non sempre scientifici di influencer e la continua comparsa di prodotti “healthy” sugli scaffali alimentano un senso di confronto e di
giudizio che spesso genera ansia invece che serenità.
Il risultato è che molti finiscono per confondere la salute con la perfezione, dimenticando che il vero benessere nasce dalla flessibilità, dalla capacitàndi ascoltare il proprio corpo e dal piacere di condividere il cibo senza sensinbdi colpa. È proprio su questo confine sottile — tra attenzione e ossessione — che vale la pena fermarsi a riflettere, per distinguere ciò che ci fa davvero bene da ciò che ci imprigiona in schemi rigidi e poco sostenibili.
Continuiamo a discutere l’argomento insieme al Dott. Marco Zanetti, nutrizionista, esperto in metabolismo e longevità, Presidente di Biosport sulla nutrizione e sport.bSei nuove domande per fare chiarezza e aiutare a distinguere la vera salute dall’ossessione camuffata da lifestyle virtuoso.
Dottore, quando il “mangiare sano” inizia a diventare qualcosa di potenzialmente pericoloso? Come riconoscerlo?
«Il punto critico non è cosa si mangia, ma il come. L’ossessione nasce quando l’alimentazione diventa rigida, ansiogena, totalizzante. Se una persona comincia a evitare situazioni sociali per paura di “sgarrare”, se pesa tutto in modo maniacale, se prova senso di colpa per alimenti ritenuti “impuri”, allora siamo davanti ai campanelli d’allarme. Mangiare sano non significa vivere nel terrore di sbagliare: significa scegliere bene la maggior parte delle volte, non tutte. La flessibilità è un parametro di salute, non di debolezza.»
Il marketing del “fit” e dei prodotti proteici può contribuire all’ossessione? Come riconoscere un messaggio distorto?
«Assolutamente sì. Negli ultimi anni il mercato del “fit food” è esploso, ma non sempre in modo trasparente. L’equazione “più proteine = più salute” è fuorviante, perché ciò che conta è la qualità e il bilanciamento complessivo della dieta. Il problema è che molti prodotti “healthy” sono più marketing che nutrizione: barrette piene di edulcoranti, biscotti proteici ultraprocessati, cibi con etichette accattivanti che rassicurano chi vuole essere perfetto.
Come difendersi? Leggere gli ingredienti, non farsi condizionare dagli slogan e ricordare che il cibo sano non ha bisogno di urlare di esserlo.» Esistono rischi reali per chi segue un’alimentazione troppo “pura” o eccessivamente restrittiva?
«Sì, e sono più diffusi di quanto si pensi. Una dieta troppo rigida può portare a carenze nutrizionali (ferro, vitamina B12, acidi grassi essenziali), alterazioni del ciclo mestruale, perdita di massa muscolare, rallentamento del metabolismo e aumento dello stress ossidativo. Sul piano psicologico, l’ipercontrollo alimentare favorisce ansia, isolamento sociale e un rapporto disturbato con il cibo che può sfociare in forme di ortoressia. La salute non nasce dall’esclusione compulsiva, ma dall’equilibrio. Un corpo in forma è un corpo che riceve ciò di cui ha bisogno, non quello che vive sotto privazione costante.»
Come si può costruire un rapporto equilibrato con il cibo senza cadere nella trappola dell’ossessione?
«Ci sono tre parole chiave: consapevolezza, moderazione, piacere. Mangiare bene non significa mangiare “perfetto”: significa ascoltare il proprio corpo, variare gli alimenti, non viverli come premi o punizioni. Ritrovare la dimensione del gusto e della convivialità è già una forma di cura. Un buon approccio è la “dieta flessibile”, che permette di includere tutto — sì, anche la pizza — purché l’equilibrio settimanale sia positivo. E soprattutto: non bisogna avere paura di chiedere aiuto. Un nutrizionista non serve solo a dimagrire, ma a ricostruire un rapporto sano con il cibo e con se stessi.»
Dottore, quanto pesa oggi la pressione sociale nel modo in cui mangiamo e ci alleniamo?
«La pressione sociale è diventata uno dei fattori più determinanti. Non ci confrontiamo più con la salute, ma con gli altri: con ciò che vediamo sui social, con l’idea di “corpo ideale”, con l’illusione che tutti seguano stili di vita perfetti. Questo genera un senso di inadeguatezza che porta molte persone a controllare il cibo non per stare bene, ma per aderire a un modello estetico irrealistico. La vera sfida è recuperare l’autonomia: mangiare per nutrirsi e allenarsi per sentirsi forti, non per rispondere a un algoritmo o a un giudizio esterno.»
Per chi vuole cambiare le proprie abitudini, qual’ è un buon punto di partenza per non cadere negli estremismi?
«Il primo passo è definire obiettivi realistici e personali. Non “voglio diventare perfetto”, ma “voglio stare meglio”, “voglio più energia”, “voglio dormire bene”. Poi è fondamentale iniziare con micro-abitudini sostenibili: bere più acqua, introdurre una porzione di verdura al giorno, camminare 20 minuti. Sono gesti semplici ma potenti. Quando invece si parte con regole rigide, rinunce drastiche o diete estreme, il fallimento è quasi garantito. La salute non è una corsa, ma un equilibrio che si costruisce con pazienza e gentilezza verso se stessi.»
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