Si è tenuta stamattina, presso l’Open Incet di via Francesco Cigna 96, la presentazione alla cittadinanza del progetto Co-City, laboratorio europeo di innovazione sociale urbana che vede coinvolta la città di Torino e il riutilizzo dei suoi beni comuni.
Il prospetto promuove un nuovo tipo di relazione collaborativa tra i cittadini e l’amministrazione locale. L’obiettivo è quello di sperimentare possibili risposte alla crisi economica, attraverso la cura e la gestione condivisa dei beni comuni, appunto, quali: edifici in disuso di proprietà della Città, disponibili per interventi di riqualificazione e per l’avvio di nuove attività; luoghi di presidio pubblico (scuole, servizi, uffici) da potenziare rispetto all’attuale utilizzo; spazi pubblici, aree verdi, terreni inutilizzati di proprietà della Città.
I beni comuni urbani, dunque, diventeranno una risorsa per nuovi processi di rigenerazione urbana grazie alla partecipazione della popolazione stessa e che vedranno coinvolti anche Le Case del Quartiere, luoghi di presidio sociale e culturale sul territorio cittadino, che offriranno informazioni e supporto per la realizzazione del progetto, e FirstLife, il social network civico per la costruzione, il coordinamento e la documentazione dei patti di collaborazione.
A fornire un quadro generale del progetto, i presenti: Marco Giusta, Assessore al coordinamento delle politiche per la multiculturalità e integrazione dei “nuovi cittadini” di Torino; Gianmaria Ajani, Rettore dell’Università degli Studi di Torino; Susana Forjan, Segretario Urban Innovative Action; Paolo Testa, Responsabile dell’Area Studi, Ricerche e banca dati delle autonomie locali dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani); e William W. Goldsmith, Professore emerito della Cornell University, che ha presentato il suo Saving Our Cities, A Progressive Plan to Transform Urban America (Cornell University Press, 2016).
Gli interventi hanno sottolineato l’importanza di dare spazio a nuovi progetti e a nuove forme di realizzazione nell’ambito cittadino, a una sperimentazione e a un cambiamento che trovano, proprio nell’Open Incet, uno dei suoi luoghi d’origine: esso rappresenta, infatti, un ottimo esempio di ripristino e riutilizzo di un’ex area industriale dismessa.
Fondamentale è, quindi, l’instaurazione di un differente paradigma di rinnovamento sociale, che veda una collaborazione attiva e, soprattutto, consapevole da parte dei cittadini. La stessa Università degli Studi di Torino ha focalizzato la propria attenzione su una riprogettazione e un recupero degli spazi a partire da una mappatura dei luoghi che ha consentito di conoscere meglio questi ultimi e di potenziarne la possibilità di innovazione. Si tratta, senza dubbio, di un piano di lavoro molto difficile (per cui sono necessari “coraggio e fiducia”, come ha consigliato Susana Forjan), che, tuttavia, “non si impone come risposta alla crisi economica sorta nel 2008 e, perciò, a una logica di resilienza – come ha fatto notare Paolo Testa – bensì ha inizio molto prima rispetto a essa e si basa su diversi modelli di relazione tra chi detiene il potere e chi, invece, possiede il potenziale delle politiche urbane.
Co-City genera e formalizza soluzioni che migliorino la qualità di vita sul territorio, per produrre nuova ricchezza da ridistribuire tra i cittadini”. Bisogna, pertanto, concentrare le proprie energie non più su riflessioni teoriche, ma, al contrario, sulla concretizzazione delle azioni: il progetto deve porsi come esempio per consolidare queste ultime. Sono necessarie, quindi, comunità di “innovatori urbani”, ossia associazioni o singoli cittadini che siano promotori, appunto, dell’innovazione locale. Appare allora doveroso, da questo punto di vista, dare ascolto a questi ultimi con metodo e rigore scientifico, utilizzando anche le risorse tecnologiche: è opportuno, infatti, condividere una conoscenza comunitaria che sia basata su dati certi, che, però, vengono messi spesso in discussione a causa della manipolazione continuamente esercitata sull’opinione pubblica.
Un accenno, infine, ai temi che sono emersi nel corso dell’intervento del professor Goldsmith: egli ha messo in luce quattro problemi che caratterizzano le città americane ma che, purtroppo, stanno radicandosi anche in quelle italiane. Essi sono: 1) la diseguaglianza nell’educazione, dal momento che le scuole, basandosi su tassazione locale, non possono sempre garantire le medesime opportunità e si distinguono, quindi, in “ricche” e “povere”; 2) il cibo e, in particolare, il cosiddetto junk food, che, anche in Italia, riveste una grande incidenza non solo a livello di salute, ma anche di pianificazione dei servizi: i dati, infatti, dimostrano che se le patologie croniche da esso suscitate si sviluppano già a partire dall’infanzia, sarà costante la cura che, da adulti, risulterà necessaria, con conseguente e maggiore intervento di una società che è già in crisi; 3) la guerra alla droga, fenomeno che, ormai, sta dilagando anche sul piano nazionale, in città quali la stessa Torino e Genova; 4) infine, l’austerity, ossia il taglio dei budget già in atto sul territorio e fattore di rischio di un incremento della diseguaglianza sociale.