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Eventi | 28 agosto 2019, 10:30

Il Vietnam si racconta a San Salvario con l’Arte Povera di Merz e Pistoletto

Appuntamento sabato 31 agosto alle ore 17.30 presso il Viet Caffè di via Campana

Il Vietnam si racconta a San Salvario con l’Arte Povera di Merz e Pistoletto

“Nella vita ci sono valori preziosi che a volte, temporaneamente, si perdono qua e là, dei momenti in cui si rimette tutto in causa: rivoluzioni, grandezze e decadenze; ma finalmente l'uomo si ritrova e arriva a vedere che l'ideale è umano: fare in modo di avere una vita migliore in quanto parte di una nazione e della civiltà. Io sono ottimista e credo che questa vita migliore l'avremo, avremo la pace vera, la democrazia vera, una società in cui l'emancipazione dell' individuo sarà completa”. Il 25 agosto 1911 nasceva il generale Vo Nguyen Giap, protagonista della storica battaglia di Dien Bien Phu, nel ‘54, che determinò la fine della dominazione francese e l’indipendenza del Vietnam.

Per celebrare l’avvenimento, e rendere omaggio al cosiddetto “Napoleone rosso”, figura leggendaria scomparsa all’età di 102 anni, l’Associazione Italia-Vietnam Giovani di Torino ha organizzato, per sabato 31 agosto, un incontro speciale all’interno del fresco Viet Caffè di San Salvario, in via Campana 24.

La storica dell’arte Margaret Sgarra accompagnerà i presenti in un affascinante viaggio tra le tappe della guerra in Vietnam e le sue rappresentazioni all’interno del movimento artistico più sovversivo del XX secolo in Italia: l’Arte Povera.

Momento di profonda trasformazione sociale, politica e culturale, la fine degli anni Sessanta ha visto diversi artisti vestire i panni dell’impegno e della partecipazione sganciandosi da qualsiasi retorica accademica. Opere dal forte contenuto ideologico, ma spogliate di orpelli decorativi, materiali ricercati e canonico gusto estetico. È una nuova espressione che conia il suo lessico dal regista polacco Jerzy Grotowski, promotore, fin dall’inizio della decade, di un “teatro povero”, dove il contatto diretto fra attori e spettatori doveva predominare sull’allestimento, le luci, i costumi e tutto l’apparato “artificiale” della messa in scena.

Così scrive, infatti, nel ‘67, il critico genovese Germano Celant, teorizzando le basi della nuova Arte Povera: “Più che prodotti ha realizzato organismi che si evolvono, mutano e ruotano sulla relazione aperta e non sul fissaggio di entità fisiche. In aggiunta ha integrato nel suo fare le circostanze ambientali e architettoniche, quanto il contesto socio culturale. Non si è offerta come un'esperienza dopo che il fatto artistico era compiuto e concluso, ma ha stimolato l'entrata in relazione con un opera che muta e vive, perché cresce o si muove, si scioglie e morde come il ghiaccio o un pappagallo”.

Per riscoprirne le radici e le trasformazioni, l’evento di sabato al Viet Caffè porterà in particolare l’attenzione su due dei massimi poveristi locali: Michelangelo Pistoletto, biellese ma torinese d’adozione, e Mario Merz, nato a Milano e cresciuto artisticamente nel capoluogo sabaudo. L’onda d’urto provocata dalla sanguinaria e devastante guerra in Vietnam non ha risparmiato le loro coscienze, più che mai ricettive ai corsi e ricorsi della storia umana. Ed ecco nascere, dall’uno, il quadro specchiante “Vietnam” (1965) – inserito in una serie di “oggetti attraverso i quali io mi libero di qualcosa”, scrive Pistoletto – e l’igloo dedicato a Giap (1968) dall’altro.

L’artista biellese raffigura un gruppo di manifestanti pacifisti, rappresentati con delle sagome fissate a uno specchio, in modo tale che gli osservatori vi si riflettano diventando parte integrante dell’opera stessa. L’installazione di Merz, invece, riporta sulla creta una frase del comandante, composta da tubi di neon luminosi: Se il nemico si concentra, perde terreno, se si disperde, perde forza”. Una forma, quella della calotta, abitazione minimale degli eschimesi, scelta dall’artista a partire dal ‘67 come rimando a uno stadio primordiale della civiltà umana, a contatto diretto con la natura. Proprio come immerso in un’oasi naturale è il Viet Caffè, che quest’estate ha festeggiato il suo primo anno di attività.

Un circolo Arci all’interno della sede del Polo scientifico-culturale Italia Vietnam, nella splendida cornice del Giardino di Bambù, sotto il Consolato della Repubblica Socialista del Vietnam. Un progetto particolarissimo, aperto tutti i weekend, dalle 10 alle 22, con l’ambizione di coniugare relax, armonia e cultura. Ed è quanto l’Associazione Italia-Vietnam da sempre si propone di fare, per avvicinare il più possibile Oriente e Occidente in un ambiente dal sapore europeo dei caffè letterari ottocenteschi a Parigi, eppure capace di immergere qualsiasi avventore nell’esotismo più magico.

“Vogliamo provare a dare il nostro contributo – ha spiegato il presidente di AIVG Simone Campion –, lavorando fianco a fianco, nell’abbattimento della cortina di pregiudizi, semplificazioni e stereotipi che si è creata nel corso dei decenni, grazie all’unico strumento a nostra disposizione: la condivisione”.

Manuela Marascio

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