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Cultura e spettacoli | 05 febbraio 2017, 10:40

“Piano”, se la rivoluzione ucraina è fatta di musica

Il film di Vita Maria Drygas, “Piano”, proiettato a Seeyousound, racconta il ruolo fondamentale, ignorato dai più, giocato dai pianisti durante la rivoluzione ucraina di piazza Maidan

“Piano”, se la rivoluzione ucraina è fatta di musica

 

Si può rintracciare della poesia anche tra le pieghe consumate di una guerra. Si può fare se c’è la volontà di provvedere non solo alla fame e alla stanchezza, ma anche allo stato d’animo delle persone. Perché è vero che in una guerra servono cibo e armi, ma servono anche le motivazioni, la costanza, l’unità. Soprattutto se la guerra nasce da una ribellione, quella alla quale il popolo ucraino ha dato vita all’inizio del 2014 contro l’ex presidente Viktor Janukovyc.

Il film “Piano”, mediometraggio della regista polacca Vita Maria Drygas, proiettato in anteprima italiana al festival Seeyousound, è un piccolo documentario che punta l’obiettivo tra le proteste di piazza Maidan, a Kiev. Gli esiti di quella rivolta hanno spaccato l’Ucraina in due, tra chi voleva, in buona sostanza, avvicinarsi all’Europa e tra chi voleva invece mantenere il legame con la Russia.

L’occupazione della Crimea da parte dei russi (con conseguente referendum di annessione a Mosca), la fuga di Janukovyc, le dimissioni del governo ucraino e la guerra interna con l’Ucraina dell’Est arrivano dopo. È nello scenario immediatamente precedente che la regista ricostruisce una storia utilizzando i tasti di un pianoforte, dipinto con i colori nazionali dell’Ucraina e una bandiera dell’Unione Europea.

A battere quei tasti, tra i vari pianisti, c’è anche un soldato con il viso coperto, la sigaretta in bocca e nelle dita i ricordi delle lezioni di piano seguite da bambino. La musica unisce e nell’unione le persone trovano la forza di andare avanti, anche quando lo scontro sembra inevitabile e impari. Perché la polizia Berkut, poi sciolta dopo la caduta del governo, fa paura e non va troppo per il sottile.

Le botte, i pianoforti distrutti (dopo quello di piazza Maidan ne spuntano altri), gli arresti, le barriere sfondate con i blindati sono all’ordine del giorno in un Paese tanto vicino a noi quanto inspiegabilmente lontano.

A suonare in piazza Maidan, quando il piano è issato su un vecchio autobus bruciato e collegato ad alcuni altoparlanti, c’è la giovane pianista Antuanetta Miszczenko.

Il film torna sempre su di lei. Prima ci porta alle sue lezioni di piano, con l’insegnante Lyudmila Chichuk, poi in piazza, tra le tende dei manifestanti e, sempre seguendo le dita di Antuanetta, dentro lo scontro “musicale” con la polizia. Mentre il pianoforte suona Chopin, la polizia ucraina trasmette a tutto volume musica dance. Una strana lotta dove però, nonostante il caos prodotto dai Berkut, la poesia dei tasti bianchi e neri non scolorisce.

E, finita la proiezione, mentre lo spettatore si chiede dove finirà quel pianoforte, come può chiedersi dove finirà la rivoluzione, Antuanetta è lì, sul palco del Cinema Massimo, per suonare dal vivo le stesse canzoni suonate in piazza. Chopin, una canzone popolare ucraina e anche Ludovico Einaudi, tributo a Torino.

“Dopo la rivoluzione di Maidan – ha aggiunto la regista – i pianisti hanno continuato a suonare per i soldati al fronte. Molte persone non sanno quanto è stato importante il ruolo dei pianisti nella rivoluzione. La loro musica era diventata una sorta di catalizzatore per le persone, che si stringevano insieme come se fossero un’unica voce”.

Ora che la situazione in Ucraina è ancora grave ci si augura che quei pianoforti continuino a suonare.

 

Paolo Morelli

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