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Scuola e formazione | 07 ottobre 2017, 14:56

Volontari a Torino, dopo la guerra civile in Venezuela

La storia di Aixa e Riccardo, che dopo aver vissuto un anno dei “riot” di Caracas hanno continuato il servizio civile nel capoluogo piemontese

Volontari a Torino, dopo la guerra civile in Venezuela

Quasi ottomila chilometri separano Caracas da Torino. Ma, mentre nel capoluogo piemontese arriva l'autunno e la città si prepara alla tensione del maxi vertice tra i ministri del G7, nella città sudamericana ormai si è giunti a quella che molti osservatori definiscono guerra civile vera e propria, tra i governativi e i sostenitori di Nicolàs Maduro e una parte della popolazione che cresce sempre di più. E se le proteste e le violenze erano già in stato avanzato, con la convocazione della Costituente che l'escalation è andata avanti in modo drammatico, poche settimane fa.

Ed era proprio in quei giorni che finisce la parentesi venezuelana di Riccardo e Aixa Meistrallet, due ventisettenni italiani, partiti volontari per il Paese sudamericano con il progetto della Cisv, la comunità impegno di servizio volontario, che proprio a Torino ha uno delle sue più importanti basi. Arrivati in Venezuela nel novembre dello scorso anno, “abbiamo lavorato con i minori, sia in un centro di accoglienza notturno, per i ragazzi senza genitori o quelli presi in carico dal tribunale, sia in uno diurno, per l’appoggio scolastico e il supporto medico e psicologico”.

L’esplosione dei “riot”. La situazione non era tranquilla nemmeno all’arrivo (“c’erano già manifestazioni molto frequenti”), ma peggiorava a dicembre: “tutto il Paese nel giro di due giorni ha dovuto riportare in banca le banconote da 100 bolivar, per problemi di inflazione, e da quel momento in poi ha cominciato a scarseggiare il denaro contante. In certi giorni non abbiamo nemmeno mangiato, dato che in molti negozi non si può pagare in modo diverso”. Ma l’inferno venezuelano esplode ad aprile, per la riforma costituzionale: “Lì tutto è degenerato: i lacrimogeni e i proiettili di gomma erano all’ordine del giorno, così come ragazzini giovanissimi che per strada sequestravano pullman per fare delle barricate, con gli autisti che li investivano per impedirglielo”. Poco dopo “il governo ha armato i colectivos chavisti e, dato che ogni schieramento è stato infiltrato, sono spuntate le armi da fuoco di ogni genere. Le persone si sparavano sotto casa e ci è anche capitato di vedere i cecchini non militari appostati sui tetti”.

Ma la situazione poteva degenerare ancora, soprattutto in vista del voto sulla Costituente del 30 luglio. E a quel punto la via era una sola: “Ci siamo svegliati una mattina con una email che ci obbligava al rimpatrio immediato e nel giro di poche ore siamo partiti”. Fino all’arrivo alle frontiere, dove “ci sono decine di migliaia di persone ammassate per uscire, e soprattutto su quelle che separano il Venezuela dalla Colombia ci sono le mafie, che stanno sfruttando il mercato nero e la tratta delle persone”.

Il ritorno a Torino. Nel capoluogo piemontese i due ragazzi continuano a lavorare per il sociale “nella stesura e supporto dei vari progetti fino ai servizi alla persona”, rimanendo nel volontariato. Ma non hanno scordato il Venezuela: “Siamo partiti così in fretta che non abbiamo nemmeno portato con noi i bagagli e, di conseguenza, non siamo nemmeno riusciti a salutare i bambini, e questa è stata la cosa più dolorosa”. Per quanto riguarda il Paese sudamericano, le loro impressioni sono pessime: “E’ completamente sul baratro, presto sarà completamente spogliato di tutte le sue risorse. I bambini, nella migliore delle ipotesi, hanno due pasti al giorno, e ormai la violenza è entrata a far parte della società”.

Bernardo Basilici Menini

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