“I bosoni di Higgs non vengono mai soli”: a spiegarne il perché, una sorta di lectio magistralis dai toni frizzanti tenutasi ai Bagni Pubblici di via Agliè e condotta dal ricercatore dell’INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Nicolò Cartiglia, membro del team che nel 2013 ne ha effettuato la scoperta al CERN di Ginevra.
L’appuntamento si è inserito all’interno del ciclo Aperiscienza, ideato dal fisico Andrea Beraudo: “un progetto di divulgazione che ha l’intento di portare un po’ di scienza in periferia, un modo per incoraggiare i giovani a immaginare nuove prospettive per il proprio futuro, stimolati dai racconti e dal lavoro dei ricercatori coinvolti”.
Infatti, “le particelle – ha spiegato Cartiglia al pubblico particolarmente attento – non hanno massa e sono simmetriche tra loro. Questa simmetria, però, è ‘nascosta’ dal fatto che il bosone di Higgs, interagendo con le stesse, le renda massive”.
“Ne deriva che la massa sia una proprietà che viene acquisita attraverso l’interazione con il bosone: le particelle sembrano avere massa proprio perché si relazionano con quest’ultimo, divenendo, poi, più difficili da spostare”.
L’idea in base alla quale il bosone interagisca con le particelle, le rallenti e crei una proprietà apparente – la massa –, è nata come un’intuizione nel 1964: dall’anno di pubblicazione dell’articolo che la teorizzava, “la particella di Higgs è stata il sacro Gral della fisica, su cui si sono riversati fiumi di articoli, soldi, notti insonni, matrimoni falliti, adrenalina, speranze e delusioni”, ha spiegato Cartiglia.
Fatica ripagata in seguito a 50 anni di ricerca e grazie a una macchina da 10 miliardi di euro, utile a individuare una particella “che permea tutto lo spazio – non si era mai visto prima un effetto così –, la prima particella elementare con spin 0 a individuare un nuovo stato della natura, e anche un nuovo tipo di energia, perché il campo di Higgs rappresenta la quarta forza esistente”.
Un cammino, quindi, tortuoso e ricco di sorprese. Un po’ come quello dello stesso Nicolò Cartiglia: torinese, ha concluso la propria tesi di laurea a Santa Cruz, in California, “un posto incantato dove abbiamo iniziato a lavorare sui rivelatori di particelle”. Dopo i 2 anni trascorsi ad Amburgo per il dottorato, e 5 di lavoro a New York, nel 1999 Cartiglia è tornato in Italia in seguito alla vincita di un concorso dell’INFN, una “madre matrigna in cui capita poco: tuttavia, un bellissimo ambiente in cui si lavora molto bene, soprattutto su esperimenti grandi”. Cartiglia è, infatti, un “meccanico”, come si definisce lui stesso, dedito principalmente alla costruzione dei rivelatori di particelle “per la generazione di ricercatori che verranno dopo: i giovani devono avere successo”.
Quanto al CERN, “la cooperazione è molto bella e molto facile, senza alcun attrito di colore o nazione: gli anni che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs sono stati davvero elettrizzanti. Ora, invece, non c’è nessuna scoperta di cui si senta il sangue nell’acqua, per cui alle volte sfugge il senso e l’oggetto della ricerca stessa”.
Attualmente, tuttavia, Cartiglia, vincitore del premio ERC – European Research Council – è impegnato in un progetto particolarmente ambizioso: la costruzione di un nuovo rivelatore di particelle ultra veloce con tecnologia al silicio, capace di realizzare un’immagine a quattro dimensioni delle particelle che lo attraversano, che fotografi contemporaneamente sia la posizione sia il tempo del loro passaggio.