Professore di Storia e Filosofia presso il liceo Matilde di Canossa di Reggio Emilia di giorno, rapper di notte: si tratta di Alessio Mariani, in arte Murubutu, avvicinatosi all’hip hop agli inizi degli anni ’90 e caratterizzato da una, ormai, florida carriera alle spalle, che questa sera ripercorrerà sul palco dello sPAZIO211 a partire dalle ore 21.30.
Il nome, piuttosto peculiare, trae derivazione dal termine “Marabutto”, che, soprattutto nelle zone dell’Africa subsahariana, designa una figura in grado di guarire i mali fisici e sociali – una sorta di sciamano. Potere che si ricollega alla “capacità curativa e terapeutica delle parole”, e si configura tra i messaggi che l’artista intende veicolare attraverso la propria arte.
La riflessione su una possibile interazione tra musica rap e contenuti scolastici ha inizio verso gli anni 2000: l’intento che ne scaturisce è quello di rendere il rap un veicolo espressivo utile alla trasmissione di contenuti di ordine culturale, senza, tuttavia, perdere l’attenzione rivolta alla cura stilistica, dal momento che “sono due attività che, pur essendo ben distinte, si influenzano e si sostengono, per cui spesso mi sembra di svolgere lo stesso lavoro, ma in due contesti differenti”, come afferma il rapper stesso. “La filosofia, poi, che io tratto spesso in maniera indiretta – continua – innerva profondamente tutte le mie storie”, costituendo, così, uno stretto legame con la musica e le rime.
Il risultato è un nuovo genere musicale: il “rap didattico”, concretizzatosi nel 2006 con l’uscita del primo album di Murubutu, Dove vola l’avvoltoio, elaborato in collaborazione con il collettivo La Kattiveria Crew.
Al 2009, invece, risale il suo progetto da solista, interamente focalizzato sullo storytelling, in cui sonorità hip hop classiche fungono da sfondo a testi caratterizzati da una forte cifra stilistica cantautorale e da accenti poetici. Nel 2011, infatti, Murubutu vince il secondo premio al Concorso Nazionale per Cantastorie “G. Daffini” con il brano “Anna e Marzio”.
Il rapper ha, in seguito, pubblicato altri quattro album, tutti distribuiti dall’etichetta bolognese Irma/Mandibola Records: Il giovane Mariani e altri racconti, del 2009; La bellissima Giulietta e il suo povero padre grafomane, del 2011; Gli ammutinati del Bouncin, ovvero mirabolanti avventure di uomini e mari, del 2014; e, infine, L’uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti, del 2016.
A proposito di quest’ultimo, Murubutu dichiara che sia “un lavoro con una forte ispirazione letteraria: non propriamente un album, bensì una raccolta di quelli che definisco rapconti, il cui comune denominatore è il vento. In esso è presente un forte valore metaforico, perché rappresenta l’elemento in grado di raccogliere le esperienze dei popoli e le vite delle persone, per poi portarle nel suo seno”.
Un espediente, dunque, dove le rime assumono forma narrativa, raccontano di genti, vite, società, e si configurano come “il nuovo cantautorato, possessore delle caratteristiche tecniche perfette per esprimere contenuti in modo dettagliato, raccogliendo il filone dei cantastorie degli anni ’70. Una tradizione che, però, viene rivalorizzata e riproposta con suoni più attuali dell’hip hop”.
A dimostrazione che “un altro tipo di rap è possibile”, come dichiara Murubutu, “fondato sui contenuti e non sui cliché”. Le cui sonorità traggono ispirazione principalmente da due bacini: “dal punto di vista tecnico, il rap italiano, soprattutto d’oltreoceano, dal punto di vista contenutistico, invece, il cantautorato caratteristico del nostro paese”.
Sonorità di un artista che potremmo affermare abbia quasi assunto le sembianze di un “Omero moderno”, il quale abita e racconta, con uno sguardo lucido e dettagliato, il XXI secolo in cui si ritrova immerso.