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Economia e lavoro | 28 giugno 2019, 19:13

Torino, esplode la rabbia dei commercianti che vendono cannabis legale: “Non siamo spacciatori, le autorità ci ascoltino”

Pagano le tasse, ma subiscono sequestri, denunce e patiscono in prima persona la confusione a livello legislativo: chiesto a gran voce un incontro con Questura, Prefettura e Comune

Torino, esplode la rabbia dei commercianti che vendono cannabis legale: “Non siamo spacciatori, le autorità ci ascoltino”

“Non siamo spacciatori, dovete capire che ogni euro che viene tolto al giro legale è un euro che finisce nelle tasche della narcomafie”. E’ un appello acclarato e convinto quello che i negozianti torinesi che vendono cannabis legale rivolgono alle autorità e alle forze dell’ordine.

Dal 30 maggio, giorno in cui la Cassazione con una sentenza ha aperto diversi dubbi sulla regolarità della vendita della “cannabis light” la loro vita è improvvisamente cambiata. Se prima, forti della legge 242/2016 che regolamentava e incentivava la coltivazione e la commercializzazione non ai fini della combustione di prodotti a base di cannabis ma con una concentrazione di thc inferiore a 0,6, avevano aperto attività commerciali su tutto il territorio, oggi gli stessi commercianti si ritrovano in una situazione irreale, confusionaria ed estremamente penalizzante.

I controlli sono all’ordine del giorno, così come i sequestri e le denunce penali. Nonostante vendano prodotti considerati a norma di legge, tracciati in tutto il loro percorso e certificati, diversi negozianti torinesi (come altri in tutta Italia) hanno ricevuto in queste settimane la visita delle forze dell’ordine. “Arrivano e sequestrano ingenti quantità di prodotti. Normalmente i controlli vengono eseguiti a campionatura, prelevando una quantità modesta di prodotti, ma in queste settimane alcuni di noi si sono visti svuotare il magazzino”.

A Torino sono circa una trentina i rivenditori coinvolti ed è proprio all’ombra della Mole, ad esempio, che c’è stato il primo caso di sequestro e denuncia. A farne le spese un ragazzo di 25 anni, che mettendo da parte risparmi e chiedendo un prestito alla banca, aveva aperto due anni prima l’attività, forte della legalità stabilita dalla legge 242. “Ci paragonano a spacciatori, io ho il negozio in via Ormea. Non posso essere accomunato a chi, in strada, vende cocaina ed eroina”.

Anche perché, fanno notare i commercianti, lo Stato chiede loro il pagamento puntuale delle tasse. Da una parte li riconosce come commercianti operanti nella legalità, dall’altra li tartassa. Una confusione totale, con lo spettro che dietro vi sia una regia da parte dello Stato per entrare in questo business e gestirlo come un monopolio.

Ecco perché, per far fronte a difficoltà amministrative e legali, i commercianti torinesi si sono uniti in un comitato, il Comitato Lavoratori e Imprese Canapa 242. L’intento, nelle prossime settimane, è quello di chiedere un confronto con la Questura, la Prefettura e il Comune: “Vogliamo che ci diano una linea. Fino ad ora non c’è stata chiarezza”, spiegano. “Ci diano una linea e la ottempereremo, ma fino ad allora non ci tartassino con i controlli” è la richiesta che il Comitato avanzerà alle autorità.

In queste settimane, qualche approccio con i consiglieri comunali del M5S c’è già stato, ma per ora non ha portato ad alcun risultato. “È nostra intenzione presentare un’interpellanza per capire la situazione a Torino. C’è sicuramente un vuoto normativo ed è nostra intenzione fare luce su quanto accade in città”, è la promessa di Federico Mensio, che come consigliere è in contatto con i commercianti anche tramite Whatsapp.

L’interesse quindi c’è, è reale. Ecco perché la richiesta dei commercianti che vogliono solo essere trattati come tali verrà presa in carico dalle autorità. “Non siamo fuorilegge, chiediamo soltanto di poter fare il nostro lavoro”, è la posizione espressa dal Comitato.

 

Andrea Parisotto

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