Dodici mesi fa Eataly aveva licenziato i conti dell’ultimo esercizio (2017) con un utile sì risicato (1,03 milioni), ma pur sempre compreso nella confortevole zona dell’attivo di bilancio.
Non altrettanto positivi, almeno guardando a questo unico e certo non esaustivo parametro, il risultato che sintetizza l’andamento dell’ultimo esercizio chiuso dalla catena mondiale degli "alti cibi", che ha liquidato il bilancio 2018 che fa registrare una nuovo allargamento del giro d’affari, ampliato del 14% a quota 532 milioni di euro, ma anche una differenza tra ricavi e costi finita in passivo per 17 milioni di euro.
A riferirlo "Milano Finanza". Nella propria analisi sullo stato di salute del gruppo col quale, dalla prima apertura al Lingotto di Torino (nel 2007, ma dopo un lavoro preliminare di cinque anni), l’albese Oscar Farinetti è partito alla conquista del mondo dopo aver ceduto all’inglese Dixon la sua catena di elettrodomestici Unieuro (per oltre 500 milioni di euro, si scrisse allora, nel 2002), il quotidiano economico dà anche conto di un indebitamento verso le banche attestato a quota 96.3 milioni, di ammortamenti in crescita di 5 milioni (a 26 milioni) e di costi lievitati a 545 milioni, con conseguente calo della redditività.
Un quadro comunque lontano dal dover preoccupare gli analisti, che leggono la sofferenza dell’ultimo esercizio alla luce della continua espansione cui da sempre sono rivolte le strategie del gruppo, con nuovi store aperti ogni anno in Europa, America del Nord e Asia, insegne in location quali la 5th Avenue e il nuovo World Trade Center a New York, e bandierine ormai piantate su piazze che vanno da Roma a Dubai, da Firenze a Mosca, da Milano a Chicago, passando per Boston, Las Vegas, Los Angeles, San Paolo del Brasile, Monaco di Baviera, Stoccolma e Riyhad, solo per citarne alcune.
Ma un contesto che, sempre secondo i report della stampa specializzata, potrebbe avere due precise conseguenze.
La prima riguarderebbe il possibile rinvio dell’operazione di quotazione in Borsa più volte ventilata dallo stesso Farinetti, che ormai da alcuni anni aveva esplicitato la propria intenzione di sostenere una nuova fase di crescita del gruppo affiancando ai suoi soci storici (l’albese Luca Baffigo Filangieri, partner della prima ora, al 20%, ma anche Giovanni Tamburi, che nel marzo 2014 aveva rilevato con la sua Tamburi Investment Partner un’analoga quota per 120 milioni di euro, mentre la famiglia Farinetti deterrebbe il 59% della società) i capitali freschi cui l’azienda potrebbe attingere presentandosi ai mercati sotto le forme di una moderna "public company".
Da questo mutato scenario, sempre secondo i "rumors", discenderebbe un secondo cambio di programma, con la ricerca di un nuovo pesante socio in grado di sostenere l’ambizioso progetto con cui l’estroso imprenditore langarolo punta a portare il meglio dell’enogastronomia tricolore nelle vie e piazze più blasonate del mondo.
Se gli osservatori paiono concordi sul fatto che tale ricerca stia portando a Oriente e in particolare verso la Cina, di particolare suggestione è il profilo indicato in proposito dalle colonne de "La Verità". Secondo il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, Farinetti ne starebbe infatti parlando nientemeno che con Jack Ma, 55enne fondatore del colosso cinese dell’e-commerce Alibaba e uomo più ricco della Cina, accreditato di un patrimonio personale superiore ai 30 miliardi di dollari.
Una valida alternativa potrebbe essere rappresentata dal fondo immobiliare cinese da tempo richiamato come possibile partner per l’avventura di Fico Eataly World, il parco tematico dedicato alla gastronomia aperto a Bologna nel novembre 2017.