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Cultura e spettacoli | 09 aprile 2020, 18:24

"Il sole dopo le tenebre: il Museo Egizio si prende cura dei reperti ed entra nelle vostre case" [INTERVISTA]

Il direttore Christian Greco: "Avevamo in programma di aprire una nuova sala, vedremo quando sarà possibile. E continuiamo a progettare per il 2024, quando festeggeremo il nostro bicentenario"

"Il sole dopo le tenebre: il Museo Egizio si prende cura dei reperti ed entra nelle vostre case" [INTERVISTA]

Christian Greco, l’emergenza Coronavirus si è manifestata proprio nel momento in cui il Museo Egizio festeggia i primi cinque anni dall’inaugurazione del nuovo allestimento. Può descriverci questo scenario e in che modo avete riorganizzato il vostro lavoro, dopo la chiusura?

Senz’altro anche per noi è un momento di grande ripensamento e profonda sofferenza, come per tutto il Paese, e non ci lascia immuni da nessun punto di vista, specie quello emotivo. L’ho detto diverse volte in varie occasioni: il museo è politico nel senso etimologico del termine, perché partecipa alla vita della città e della comunità. E deve quindi farsi carico della sua sofferenza e adottare nuove modalità per interagire in questa situazione. Vale soprattutto per noi che, negli ultimi cinque anni, dalla riapertura, abbiamo fatto di tutto per portare fisicamente il museo fuori dal museo, sviluppando, ad esempio, programmi specifici per la Casa circondariale Lorusso-Cotugno, gli ospedali, le scuole. Ricordo bene il giorno dell’inaugurazione, il 1° aprile 2015: assieme alla presidente Evelina Christellin avevamo deciso di offrire completamente il museo alla città, conservando il budget che avremmo potuto spendere per grandi festeggiamenti. Quel giorno entrarono 123 mila persone, e io stesso uscii fuori, a mezzanotte, chiedendo ai presenti di tornare l’indomani, perché eravamo stremati. Ecco, proprio il legame fortissimo  costruito con la città in questi anni veniva a interrompersi in seguito al primo Dpcm sul Coronavirus. Ed è subito iniziata la riorganizzazione. Io più volte ho sintetizzato la nostra funzione primaria con la parola latina “cura” degli oggetti custoditi nel museo, da preferire rispetto “tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico”. Stiamo quindi continuando ad assicurare la guardiania armata giorno e notte, il monitoraggio dei reperti, sia da remoto sia dando la possibilità a due conservatori, con tutte le norme di sicurezza del caso, di andare a verificare che gli oggetti stiano bene. Inoltre, per far sì che gli impianti non smettano di funzionare, controlliamo da remoto temperatura e umidità. Abbiamo in questo momento anche due mostre itineranti, una a San Paolo del Brasile e l’altra a Kansas City, entrambe chiuse per lockdown, e, da lontano, manteniamo i contatti con le istituzioni. Ci siamo poi concentrati su tutte le attività che possono essere fatte da remoto. I curatori procedono con la parte di ricerca e le pubblicazioni, abbiamo quattro atti di convegni tenuti al Museo Egizio da revisionare, così come lavorano in smart working sia la gestione sia l’amministrazione. E siamo contenti di aver assicurato a tutti lo stipendio di marzo. Infine, la comunicazione sta lavorando moltissimo nel mantenere costantemente attivo il contatto con scuole e università, per portare avanti la nostra funzione educativa. 

Sta avendo molto successo sul web il suo format “Le passeggiate del direttore”. Cosa vi ha spinto a puntare sul digitale per mantenere vivo il legame con il pubblico, anche grazie alle iniziative rivolte alle famiglie con bambini?

Sì, è tutto nato da lì, da questo progetto ideato qualche anno fa. Non potendo avere il pubblico con me, ho pensato di raggiungere i visitatori in modalità digitale, portando serenità a tutti nelle proprie case. La motivazione è duplice. Da un lato, continuare a mantenere la nostra funzione pubblica, dall’altro, partecipare in modo empatico a questo momento difficile. Mi scaldano davvero il cuore i riscontri e commenti di chi mi scrive che momenti culturali del genere, stanno allietando lo stare a casa. Secondo me, l’archeologia come la storia, ci dà questa forza: relativizzare la nostra esistenza, facendoci capire la nostra caducità e ponendoci in sintonia con la generazioni del passato. Gli oggetti che ci raccontano di personaggi lontani ci aiutano a fare un lavoro di introspezione, a capire il nostro ruolo nel mondo. Con le scuole sta lavorando il nostro servizio didattico, che è in contatto con gli insegnanti. Una collega mi ha anche mandato la foto di tutti gli scarabei prodotti dai suoi bambini grazie ai nostri tutorial. Ecco, riuscire a fornire contenuti in cui la creatività e la manualità siano staccati da uno schermo è importante. Vanno sfruttati, in questo tempo, per ristabilire un contatto con la materialità. 

C’è qualche insegnamento, tratto dalla cultura degli antichi egizi, che può tornare di attualità, in un momento difficile come quello che stiamo vivendo?

A me piace moltissimo il messaggio di fiducia che leggiamo nel libro dell’Amduat, che significa “ciò che avviene nell’aldilà”: è una una sorta di cosmografia del Nuovo Regno, dal 1550 al 1070 prerogativa del sovrano, poi, dal terzo Interregno, anche in diversi papiri e sarcofagi. Vediamo qui il dio sole che, quando tramonta la sera, viaggia per dodici ore nell’aldilà, e non è un viaggio semplicissimo, deve affrontare diverse difficoltà. Ad esempio, il serpente Apofis cerca di ostacolarlo e impedirgli che lui possa sorgere al mattino. Se questo succedesse, la vita nell’Antico Egitto verrebbe a finire, non ci sarebbe più giustizia. Ma la forza arriva proprio dalla dodicesima ora, dove il dio, rigenerato, appena prima di risorgere, riprende le sue fattezze di scarabeo che spinge il disco del sole, e torna sulla terra per far splendere la luce e proseguire la vita. Ora dodici ore della notte ci sembrano dure, il dio sole è lontano: ma lui lotta per noi e ritornerà sulla terra. Come si profilano i rapporti con la comunità internazionale di riferimento, per il vostro settore, con una pandemia globale in corso?

Ho dei contatti quasi quotidiani con i colleghi del Louvre, del British Museum, il Neues Museum di Belino e il Museo Nazionale di Antichità di Leiden, in Olanda. Insieme abbiamo un progetto per il Museo del Cairo, offriamo una consulenza per la sua trasformazione, mentre l’Egitto procede all’apertura del National Egyptian Museum vicino alle piramidi. I colleghi del nord Europa sono entrati dopo di noi nella fase di emergenza, e alcuni hanno prospettive di chiusura molto lunghe. Ci stiamo confrontando sulle possibili modalità di raggiungimento del pubblico. Ad esempio, il Britsh ha già messo online tutti i prodotti per le scuole. Per noi è utile capire come possiamo riaprire e affrontare le sfide che ci aspettano, soprattutto nella fase due, dove si dovrà garantire al massimo la sicurezza quando la lotta al virus sarà ancora in corso. È importante, quindi, che ci sia un coordinamento internazionale. 

Infine, quali sono i progetti che il Museo intende realizzare e con quali strumenti e misure è possibile incentivarli, una volta passata questa crisi? 

Innanzitutto, stiamo studiando le modalità di riapertura, e l’urgenza ora è di applicare al meglio una strategia digitale. In estate facciamo sempre delle Summer School, con studenti americani in visita a Torino, che ovviamente sono state cancellate, e vorremmo realizzarle a distanza. Ma non solo. Dovremo anche affrontare l’emergenza economica, cercando aiuto e supporto da tutti coloro che in questi anni ci hanno sostenuto. Continuiamo a pensare al futuro, ai progetti espositivi per il 2020-21. Avevamo in programma di aprire una nuova sala del museo, vedremo quando sarà possibile. E continuiamo a progettare per il 2024, quando festeggeremo il nostro bicentenario. Valuteremo in primis la questione sanitaria e la disponibilità finanziaria. Comunque sapremo trovare, in ogni caso, delle modalità per dare prodotti innovativi al nostro pubblico, e fare in modo che il museo, la sua ricerca e la comunicazione abbiano sempre un contatto diretto con i visitatori. 

Manuela Marascio

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