Il Covid-19 ha colpito duramente, ma non lo ha fatto in maniera "democratica". E' andato infatti ad aggravare quella differenza tra uomo e donna, sul mercato del lavoro, che già esisteva prima della pandemia, ma che oggi appare ancora più marcata. Lo svela l'indagine Ires "L. Morosini" presentata insieme a Cgil Piemonte, secondo la quale già a inizio 2020 il rapporto tra la retribuzione oraria delle lavoratrici dipendenti donne e quella dei lavoratori dipendenti uomini, nel settore privato, è pari in media all’89,3% a livello italiano. E in Piemonte è ancora peggio, visto che il rapporto scende all’87,6%.
Torino, dal canto suo, indossa la scomoda maglia della la provincia con il salary gap più accentuato (87,1%), seguita da Biella, Cuneo e Novara (con valori compresi tra 87,5% e 88%), Alessandria, Vercelli e Vco (che oscillano tra l'88% e l'89%) e infine Asti (92,6%). Il Piemonte, inoltre, si colloca al primo posto tra le regioni del Nord rispetto alla percentuale di lavoratrici dipendenti donne con basse paghe (inferiori ai due terzi della retribuzione mediana).
E' in questa cornice che oggi, a leggere i primi dati, sembra che le donne abbiano pagato finora un prezzo più alto. In particolar,e sembra che e donne siano maggiormente rappresentate nei settori più colpiti dalla crisi. Sulla base dei risultati di alcune indagini preliminari, sono stati individuati dieci settori dell’industria e dei servizi particolarmente penalizzati sia dalle misure restrittive succedutesi tra marzo e maggio, sia dal potenziale calo della domanda indotto dai cambiamenti nei comportamenti della popolazione, sia dall’incremento dei costi di produzione dovuto alla messa a norma degli ambienti di lavoro. A livello Piemonte è emerso che, nel complesso di questi dieci comparti, la forza lavoro femminile ha un peso pari al 49,1%, mentre sul totale dei settori economici rappresenta il 44,6%. In particolare, le lavoratrici donne prevalgono sui lavoratori uomini nei comparti dei servizi più colpiti, costituiti prevalentemente da unità produttive di dimensioni ridotte che possono fare richiesta di cassa integrazione in deroga, come i servizi di alloggio (62,3%), la ristorazione (59,1%) e i servizi alla persona (68,3%).
Rinunciare alla carriera
E il Coronavirus lascia dietro di sé un'eredità ancora più scomoda. Secondo Save the children, che ha realizzato nel periodo marzo-aprile 2020 un sondaggio presso circa mille donne italiane, molte di loro sono costrette a rinunciare alla carriera professionale (tra i 25 e i 54 anni solo il 57% delle madri risulta occupata rispetto all'89,3% dei padri), non possono appoggiarsi ad una rete per la prima infanzia (solo il 24,7% dei bambini frequenta un servizio socio-educativo) e spesso ammettono di aver modificato qualche aspetto della propria attività lavorativa per cercare di conciliare lavoro e vita privata (la scelta della riduzione dell'orario di lavoro ha riguardato il 18% delle donne e solo il 3% degli uomini).
Particolari criticità riguardano i genitori single, che affrontano in contemporanea l'emergenza lavorativa e quella familiare. In Piemonte, secondo l’Istat, si stima che nel 2018 i nuclei monogenitoriali erano 219mila (poco più del 10% delle famiglie), di cui 171mila (cioè il 78,1%) con a capo una donna. Sul fronte dell’occupazione, i dati mostrano che nel 2016 la percentuale di madri sole occupate era pari al 63,8%, il 24,4% erano inattive, l’11,8% disoccupate. Tra i padri soli la quota di occupati si attestava al 77,1%. Relativamente alle condizioni economiche, sempre con riferimento al 2016 le madri sole a rischio di povertà o esclusione sociale erano il 42,1%, una quota decisamente superiore a quella riscontrata tra le madri in coppia (29,3%). Considerando in particolare l’incidenza della povertà assoluta tra le madri sole con figli minori era pari all’11,8%, rispetto al 7,9% del totale degli individui.
Violenza di genere
Sulla violenza di genere, una recente indagine Istat evidenzia come, nonostante il calo del numero delle denunce registrato nella fase iniziale del lockdown, la quota di donne in difficoltà sia comunque cresciuto in misura considerevole. Infatti, nel periodo 1 marzo – 16 aprile 2020 sono state 5.031 le telefonate valide al 1522 (telefono antiviolenza), il 73% in più sullo stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono 2.013 (+59%). Il Piemonte è tra le 8 regioni (insieme con Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Puglia, Sardegna e Toscana) che registrano un numero più alto di telefonate: 6,6 per 100 mila abitanti nel periodo 1 marzo – 16 aprile (erano 5,2 nello stesso periodo del 2019). E la cronaca di questi giorni, con una vera esplosione di casi di maltrattamenti e aggressioni all'interno delle mura domestiche, certifica quanto il problema sia tutt'altro che risolto, anzi.
"Occuparsi delle politiche di genere - commentano da Cgil - significa promuovere azioni che, pur nel rispetto delle differenze di sesso, mirano al riequilibrio fra ruoli di uomo e donna nella famiglia e nella società, allo scopo di dare attuazione al principio di pari opportunità: negli studi, nei percorsi di salute, nella carriera o nella vita politica".