Il primo pensiero alla notizia della morte di Paolo Rossi è stato "ma non era così anziano". Perché, come cantava Francesco Guccini, "gli eroi son tutti giovani e belli". E Paolo Rossi, eroe, lo era stato per davvero.
Un eroe per tutti gli italiani, in quel 1982, di tutte le età. Ma soprattutto agli occhi di chi era nato da pochi anni e quindi di quel Mundial vinto in Spagna ha pochi ricordi reali: molti sono stati ricostruiti tramite i tanti filmati, le interviste e le repliche che le televisioni prima - e Internet poi - hanno provveduto a tramandare.
I bimbi dell'epoca forse ricordano in maniera confusa e soffusa qualche carosello sotto casa, i clacson, le trombette. Un fazzoletto sventolato dal finestrino dell'auto, in mancanza di bandiere e vessilli. Ci si ricorda di adulti che si abbracciano ed esultano, in una gioia che in quel momento travolge e coinvolge, ma non si riesce a capire appieno.
Il secondo pensiero è come raccontare ai propri figli, intorno ai dieci anni e cresciuti a colpi di Messi e Cristiano Ronaldo, chi era Paolo Rossi.
Bearzot, la pipa, il presidente Pertini, "Non ci prendono più". "Scirea-Tardelli-Scirea: è finita". Quando hai pochi anni, del Mondiale di calcio del 1982 ricordi solo alcuni flash, di un colore più soffuso e quasi sfocato, rispetto alle luci al led e le immagini HD di oggi. Ricordi i nomi, le maglie, quella coppa con la testa tonda e il giro di campo. E poi lui: Paolo Rossi. Anzi, "Paolorossi", tutto attaccato.
Visto con gli occhi da bambino sembrava forte come un supererore, Paolorossi. Come Goldrake. Con Paolorossi non potevi perdere, perché lui era fortissimo. Ha battuto tutti: Brasile, Polonia, Germania. Paolorossi. Gli altri non ce l'avevano, noi sì: per quello abbiamo vinto. E perché nelle prime partite non aveva mai fatto gol? Si era risparmiato, fino a quel momento, perché il supereroe entra in gioco quando serve davvero. All'ultimo momento, per salvare la situazione.
E ora che non c'è più ci si sente improvvisamente più vecchi, anacronistici e indifesi.