I FLeUR sono un duo sperimentale torinese formato da Enrico Dutto e Francesco Lurgo. La loro musica vuole far dialogare la programmazione elettronica con il calore umano delle mani che pizzicano le corde di una chitarra o suonano i tasti di una tastiera. Il duo ha pubblicato il 12 febbraio il nuovo album in co-produzione con Emilio Pozzolini dei port-royal. Il disco, Caring About Something Utterly Useless, è un magma sonoro da cui le melodie emergono come scogli dalle onde, che si alzano e abbassano in moto circolare. Caring About Something Utterly Useless è dedicato alla memoria del cantautore piemontese Gwydion Destefanis, in arte Nebbiolo, scomparso recentemente.
Come nascono i FLeUR e perché si chiamano così?
FLeUR nasce quando due ragazzi si innamorano dell’elettronica e delle infinite possibilità sonore che offre. Questi vivevano nella nebbiosa provincia torinese e suonavano già da diversi anni insieme musica strumentale in band dalla formazione più tradizionale. Decidono così di unire i software a chitarre e tastiere e continuare il percorso in due. Da quella folgorazione è passato quasi un decennio con concerti in Italia ed Europa, un EP autoprodotto e due album usciti per Bosco Rec.
Il nome è una di quelle cose semplici al punto di essere quasi stupide che però rimangono nel tempo e si “attaccano”. Quando abbiamo realizzato i primi esperimenti di composizione digitale ci eravamo dati come nome d’arte provvisori rispettivamente FL e UR, e quando il progetto è nato questo gioco di parole è stato spontaneo.
Cosa ispira la composizione dei vostri brani?
Da un punto di vista più filosofico nella musica strumentale le sinestesie sono forti e presenti. Ad esempio gli ambienti e i paesaggi intorno a noi influenzano la narrazione sonora. Nelle aperture e nei crescendo si può tracciare un parallelo con le maree e l’ambiente marino. Negli spigoli dei beat si ritrovano le architetture cittadine con cui siamo a contatto la maggior parte del tempo. Guardando all’aspetto più tecnico, spesso ci innamoriamo di concetti sonori molto specifici. Possono essere un preciso suono di chitarra o una tecnica ben determinata di distorcere e destrutturare i suoni. Li espandiamo e sviluppiamo fino a farli diventare aspetti salienti della nostra personalità sonora.
La vostra musica ha un forte taglio internazionale, quale strada vi ha portato in questa direzione?
L’essere totalmente onnivori musicalmente, l’aver frequentato gli ambienti musicali di diverse capitali europee, ma certamente l’essere svincolati dalla lingua rende più facile tutto questo. Però l’essere legati all’Italia in termini strettamente musicali non è sempre qualcosa di negativo. Anzi nel nostro genere amiamo moltissimo i lavori di alcuni artisti italiani estremamente brillanti e questo è stato uno stimolo. Scoprire che qualcuno a Torino, Genova, Roma, Milano, etc. sia stato in grado di creare qualcosa di significativo a livello globale in determinate scene è stato di grande incentivo.
È uscito da pochissimo il vostro album Caring About Something Utterly Useless, che storia ci racconta?
La musica strumentale ha per noi la peculiarità di esprimere qualcosa di primordiale e slegato dalle parole, ed è quindi difficile e forse sbagliato ritornare alle parole per condensarlo. Per questo è complesso rispondere a parole a questa domanda che proprio per tale motivo è affascinante nel nostro caso. Il titolo si riferisce proprio a questa forma di espressione musicale. Per le suddette caratteristiche può essere percepita come un qualcosa di inutile, non avendo un messaggio univoco e una narrativa propria di tutto ciò che ha a che fare con le parole. Allo stesso tempo la musica è sempre stata un bisogno ancestrale dell’uomo per provare a sfogare quelle sensazioni che tutti per nostra natura portiamo dentro fortissime ma non riusciamo a spiegare. Musicalmente abbiamo scelto stavolta di dare meno rilevanza al groove ed enfatizzare invece da un lato le melodie nate da pianoforte e chitarra e dall’altro l’astrazione totale di una manipolazione sonora di stampo free-form, che lambisce i confini del drone e del noise.
Le emozioni in musica senza l’ausilio delle parole, è possibile trasmetterle?
Abbiamo forse anticipato questa domanda con la risposta precedente. Possiamo aggiungere però che la nostra volontà di espressione artistica non si esaurisce con il suono. Curiamo personalmente tutta la parte visiva che accompagna il progetto, in particolare quella video. L’album sarà anche disponibile in un’edizione limitata accompagnata da un booklet con scatti fotografici e alcuni scritti.
La vostra Torino musicale e non.
Anche se uno di noi due non vive più a Torino attualmente, FLeUR è sempre un progetto fortemente torinese. Perché negli anni passati una comunità di musicisti eclettici ci ha accolto e ci ha insegnato molto. Pensiamo ad esempio a Daniele Brusaschetto, che ha suonato con noi e pubblica i nostri lavori con la sua Bosco Rec. Possiamo citare Larsen di Fabrizio Modonese Palumbo che ha contribuito al nostro EP di debutto, o ancora la partecipazione al collettivo Tacuma Orchestra Elettronica all’inizio del decennio scorso e tanti altri. L’atmosfera di questa città ci avvolge da sempre ed è dentro di noi e più volte chiudendo gli occhi l’abbiamo trovata nelle nostre tracce. Il rombo industriale attenuato da quella malinconia ovattata ed elegante che chiunque sia stato a Torino conosce, è proprio lì nel nostro sound.
Teatri e cinema chiusi, la musica confinata alle cuffie. Come vivete da artisti questo difficile momento per la musica?
Prima di tutto la preoccupazione è forte per la salute di tutti e per chi vede a rischio la propria sopravvivenza materiale. In secondo luogo la nostalgia per gli eventi artistici dal vivo è chiaramente fortissima. Ci mancano sia da fruitori appassionati ma anche per la possibilità di portare sul palco il nostro lavoro e per la bellissima rete di connessione umana che si crea. Allo stesso tempo va detto che il nostro lavoro è stato concepito decisamente con una modalità “da studio”, svincolandosi dalla fedeltà a una performance per concentrarsi invece su una visione d’insieme e ben si presta anche a un ascolto totalmente privato e intimo.