A lavoro ho sempre cercato di "indossare" un filo di trucco. Per apparire in ordine e a posto, mi è spesso sembrato un compromesso educato avere una pennellata di rosso e blu sul volto. Poi la sera, con piacere, mi sono spesso sciacquata il viso, passando detergente con un batuffolo leggero. Un'azione che sembra innocua ma che dice molto di noi stesse. Quando ci leviamo il trucco la sera o la cravatta, la tuta da lavoro, l'orologio importante facciamo un gesto chiaro. Ci leviamo una maschera.
Scrive Nietzsche in Aldilà del bene e del male: "Tutto ciò che è profondo ama la maschera (...). Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera: e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà". Per il filosofo la maschera è il mezzo attraverso il quale la verità si cela e lo strumento che utilizziamo per difesa (dal mondo? dall’altro? dalla realtà? Non so decidete voi). Facendo un giro nella storia e nella antropologia forse si potrebbe dire che le maschere siano sempre state utilizzate con funzioni simboliche, sociali e culturali.
"Persona" è il termine con cui Jung indica la maschera assunta dall'individuo in diverse occasioni, contesti e relazioni: maschera che appunto cambia a seconda dei contesti e delle relazioni. Va fatto notare che per lo psichiatra non siamo falsi o bugiardi quando indossiamo una maschera ma solo una versione di noi stessi. Ci identifichiamo e esaltiamo aspetti e caratteristiche che convivono in noi. Le maschere nascondono certamente gli altri personaggi che coabitano in noi, ma soprattutto mettono in rilievo alcune caratteristiche e, nel mio caso, la professionalità. La maschera esalta e cela. Per Pirandello ogni personaggio è una maschera e fa quello che gli viene detto dall’autore a meno che non sia una "maschera nuda", un personaggio che ha capito di stare recitando la verità di un altro.
Allora penso al mio trucco leggero, quasi velato, e decido di usarlo alla Jung, per mettere in evidenza tratti della mia personalità rifuggendo Pirandello e i suoi personaggi. Se l'uso delle maschere è un bisogno primario forse lo è anche il modo in cui scelgo di utilizzarle, facendo uscire il personaggio giusto al momento giusto – o forse nuovamente Pirandello mi ha preso la mano? In ogni caso, Pirandello o Jung, l'augurio e il pensiero mentre mi strucco, finita la mia lezione virtuale su Zoom, è di indossare maschere che accarezzino i miei sogni. L’unico dubbio: sarà possibile?