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Attualità | 01 maggio 2021, 16:16

1° Maggio: la storia di “nonna” Concetta, dall'orfanotrofio di Cerignola a simbolo di Borgo Rossini nel mito di Giuseppe Di Vittorio

La signora Cascella, da 48 anni titolare del negozio di alimentari che porta il suo stesso cognome, ha portato a Torino i sapori della Puglia dopo una vita fatta di lavoro, sofferenza ma anche riscatto

1° Maggio: la storia di “nonna” Concetta, dall'orfanotrofio di Cerignola a simbolo di Borgo Rossini nel mito di Giuseppe Di Vittorio

Una vita fatta di lavoro, sofferenza ma anche da tanta tenacia per una storia di riscatto personale e sociale. Una storia che sa di Puglia ma anche tanto di Torino con, sullo sfondo, il mito del sindacalista Giuseppe Di Vittorio. Perché Concetta Cascella, per tutti 'nonna Concetta', è uno dei simboli della 'pugliesità' nel capoluogo piemontese, titolare da 48 anni del negozio di alimentari che porta il suo cognome nel cuore di Borgo Rossini: un paradiso per chi ama i taralli, la focaccia barese con i pomodorini, le trecce con le mandorle (dolci e salate) e tante altre prelibatezze.

Le radici pugliesi, Cerignola e i campi

Le radici di Concetta affondano nella Cerignola degli anni '40, una terra segnata dalla fatica dei braccianti agricoli sfruttati e ancora soggiogati dal sistema dei latifondi. Ed è qui che entra, di prepotenza, la figura di Di Vittorio e il ricordo delle lotte per i diritti dei lavoratori dei campi: “Ero solo una bambina – racconta – ma, pur essendo cresciuta in orfanotrofio, ricordo benissimo quando una mia zia riuscì ad ottenere un terreno agricolo proprio grazie a quelle lotte contro i padroni. Poi venni affidata a una matrigna: eravamo tutti poverissimi, il cibo scarseggiava e quando si poteva ci si aiutava a vicenda; dovetti pure essere ricoverata in sanatorio per 18 mesi a causa della tubercolosi. A 14 anni, però, decisi di non poter più vivere di elemosina”.

Torino, tra fabbriche e sogni

Da quel momento, la storia di Concetta si sposta nella Torino delle fabbriche a cavallo tra gli anni '50 e '60, la Torino forgiata dall'immigrazione dal sud Italia e dei quartieri popolari cresciuti a dismisura: “Arrivai – prosegue – in treno, accompagnata da una persona di fiducia, per stabilirmi da una cugina che viveva in corso Brescia e dove avrei ritrovato uno dei miei fratelli: qui ebbi modo di conoscere il benessere della grande città che, pur nelle difficoltà, non è mai mancato. A 16 anni, pur dovendo imparare da zero ad usare ago e filo, trovai poi lavoro in un maglificio proprio dietro l'angolo. Nonostante diverse peripezie non mi sono mai più spostata dal quartiere e qui ho aperto il negozio insieme a mio marito”.

Tutto il resto è storia, con l'insegna Cascella sempre lì, da 48 anni, ad accogliere clienti storici e nuovi avventori in cerca di sapori autentici: “Sono una sgobbona – conclude – e finché ce la farò continuerò a lavorare dietro al banco”.

Marco Berton

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