Continuano a soffiare sempre più minacciosi venti di guerra fredda al confine tra l’Ucraina e la Russia. E la retorica della corsa agli armamenti e della propaganda sta prevalendo a tutti gli effetti sulle diplomazie e sulle richieste, solo a parole, di de-escalation.
I due fronti si muovono in ordine sparso. In un crescendo wagneriano Vladimir Putin incassa un accordo pluriennale per la fornitura di gas a prezzi agevolati con l’Ungheria e apre un dialogo con il premier italiano Mario Draghi, sul fronte opposto l’ambasciatore americano a Pristina Jeff Hovenier, utilizza un evento per difendere l’integrità territorio del Kosovo per tirare per la giacchetta il governo kosovaro e ottenere sostegno contro la Federazione Russa che costruirebbe una “minaccia ai valori democratici ovunque“; Boris Johnson, uscito malconcio dal Party Gate, decide di dare seguito alla creazione di un patto trilaterale tra Gran Bretagna, Polonia e Ucraina per rafforzare la sicurezza territoriale dell’area e il presidente ucraino Zelensky annuncia l’aumento per decreto delle forze armate nazionali di 100mila unità in tre anni. Dagli Usa non arrivano notizie più rassicuranti con il presidente Joe Biden che eleva al rango di “alleato non Nato” lo Stato del Qatar, una volta considerato stato canaglia, e fa pressioni sul presidente brasiliano Jair Bolsonaro per cancellare un viaggio in Russia e la Lettonia invia armi a Kiev. Visto il crescere delle tensioni la Rivista di geopolitica StrumentiPolitici ha deciso di approfondire le ragioni della crisi ucraina con il professor Aldo Ferrari, insegnante di Lingua e lettura Armena, Storia della Cultura Russa, Storia dell’Eurasia, del Caucaso e dell’Asia Centrale per l’Università Ca’ Foscari di Venezia.