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Economia e lavoro | 16 marzo 2022, 06:00

Guerra: le pmi scoprono di essere "libere" dai legami con Russia e Ucraina, ma la fiducia crolla

A picco ordini e produzione. Alberto (Api Torino): “Di fronte alla situazione straordinaria e inaspettata occorrono strumenti straordinari”

carro armato in Ucraina

I venti di guerra in arrivo dall'Est dell'Europa hanno raggiunto anche le piccole e medie imprese torinesi

Gli effetti della guerra colpiscono anche le piccole e medie imprese di Torino. Soprattutto nella fiducia, prima ancora che nei legami economici con i due Paesi coinvolti nel conflitto: l'Ucraina e la Russia che ha invaso i vicini di Kiev.

Lo dicono gli ultimi numeri di Api Torino, che mostrano come i rapporti commerciali con i territori teatro del conflitto bellico siano piuttosto limitati: ha rapporti diretti con la Russia solo il 13,6% delle imprese;ì, mentre con l’Ucraina la quota scende all’8,2%.

Le pmi vivono già un'economia di guerra

Rimane tuttavia forte la preoccupazione per i riflessi collegati alle difficoltà nella consegna di materiali e beni, di ricezione della merce, di comunicazione con clienti e fornitori, per gli incassi e per il blocco delle attività. “Le pmi torinesi vivono già un’economia di guerra. Dobbiamo renderci conto che in meno di due settimane siamo passati da un clima di leggera ripresa, seppur con molte difficoltà ed incertezze, ad una situazione assolutamente imprevista e imprevedibile, caratterizzata da una straordinaria incertezza. Le prospettive delineate dagli imprenditori riflettono pienamente tutto questo. Ed è evidente che alla straordinarietà del momento occorre rispondere con strumenti altrettanti straordinari”, dice Corrado Alberto, presidente di Api Torino. “Oltre alla situazione generale che colpisce indistintamente tutte le realtà produttive, per le imprese dei settori della manifattura, persistono a tutt’oggi enormi difficoltà sul mercato delle materie prime e delle componenti elettroniche, che acuiscono ulteriormente la condizione di estrema fragilità in corso da mesi”.

Fiducia a picco

I numeri elaborati dall'ufficio studi, infatti, parlano chiaro. È soprattutto il clima di fiducia ad essere andato a picco: dal +20,6% di dicembre all'attuale -19,1%. "Il susseguirsi di fenomeni di portata globale, con forte impatto sull’economia reale, ha determinato in pochi mesi un vertiginoso incremento dei costi, ancora più eclatante per il comparto manifatturiero, e un rallentamento delle attività", osserva Fabio Schena, responsabile dell’Ufficio Studi di Api.

In dettaglio, le previsioni sugli ordini si contraggono di 10 punti percentuali, scendendo a -3,7%, le previsioni sul fatturato si ridimensionano al +4,5% (contro il precedente saldo previsionale pari a +8,7%). Il saldo previsionale sulla produzione viene rivisto nuovamente al ribasso, passando dal +6% al -1,4%.

Negli ultimi 3 mesi la composizione del portafoglio ordini delle imprese ha subito poi un peggioramento in ragione della maggiore concentrazione degli ordini “Fino a 15 giorni” cioè quelli che forniscono alle aziende una prospettiva ridottissima: da 11,9% di dicembre 2021 a 15,9% di marzo 2022.

Si salvano solo, per ora, solo l’occupazione e gli investimenti. Al momento, infatti, non si riscontrano ricadute dirette sui livelli occupazionali. È un segno positivo, in questo senso, che il ricorso agli ammortizzatori sociali sia contenuto al 9,1%, benché se ne preveda un lieve rialzo all’11,8% per i prossimi mesi. Inoltre, le imprese confermano i programmi per nuove assunzioni e di investimento. La propensione per questi ultimi rimane sostanzialmente stabile rispetto alla tendenza degli ultimi 12 mesi: il 62,7% degli imprenditori ha effettuato o prevede a breve di effettuare nuovi investimenti. Nel 30,9% dei casi si tratta di investimenti considerati dalle imprese rilevanti sotto il profilo economico. Aumentano però le difficoltà a incassare: per il 30% di PMI i crediti superano 60 giorni. 

Materie prime ed energia: ecco i punti interrogativi

I riflessi più pesanti della situazione derivano dalle difficoltà e dai costi delle materie prime e dell’energia. Prevale da parte delle imprese l’impossibilità di attuare interventi che permettano di ridurre l’impatto dei costi energetici in azienda (68,2%). Per il 10,9% i precedenti investimenti nelle energie rinnovabili, impianti fotovoltaici e pompe di calore, hanno messo al riparo l’azienda dai rincari energetici. Nel 10% dei casi si è intervenuti individuando un nuovo soggetto fornitore dell’energia. Solo il 2,7% del campione ha incrementato i prezzi di vendita. In taluni casi, le imprese hanno optato per la rimodulazione degli orari di lavoro, a favore di fasce orarie che garantiscono un costo dell’energia più contenuto.

La maggior parte delle imprese continua ad essere interessata dal crescente aumento dei costi (72,7% del campione) e dalle difficoltà di approvvigionamento delle materie prime (43,6% del campione). I costi sostenuti dalle imprese per l’acquisto di materiali ferrosi sono cresciuti fino a +200%; nel caso di plastica e di componenti elettronici l’aumento dei costi registrato è del +250%

Massimiliano Sciullo

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