Ci lasciamo alle spalle un anno in cui il mondo è profondamente cambiato, un’altra volta.
Alla fine del 2021 parlavamo del consistente recupero dell’economia italiana e delle grandi speranze suscitate dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza, con un totale di 235,1 miliardi di euro a disposizione del nostro Paese, in gran parte provenienti dall’Unione Europea, 70 totalmente a fondo perduto, per effettuare investimenti nei settori produttivi chiave e condizionati a importanti riforme in molti aspetti della vita pubblica, dalla giustizia alla semplificazione della burocrazia, dal fisco agli ammortizzatori sociali, solo per citarne alcune.
Soprattutto eravamo fieri della recuperata credibilità dell’Italia sullo scenario internazionale grazie all’azione del Governo Draghi.
La situazione geopolitica non destava particolari preoccupazioni. Nessuno di noi pronunciava la parola guerra, né evocava neppure alla lontana minacce nucleari. L’inflazione e lo spread erano sotto controllo, anche se si sottovalutavano i costi dell’energia e delle materie prime, che cominciavano a mostrare i primi segni di instabilità. La pandemia continuava a far sentire i suoi effetti, pur se in via di attenuazione grazie alla sempre maggior diffusione dei vaccini.
Oggi, alla fine di questo travagliatissimo 2022, abbiamo un nuovo Governo chiamato proprio in queste settimane, in tempi diventati strettissimi e dunque in affanno, alla prova di una delicatissima manovra economica, in un contesto che vede le aspettative e gli indici di fiducia in calo in tutto il mondo, a causa della decuplicazione dei costi energetici e delle materie prime, del pessimismo sui consumi, dell’aumento dei tassi di interesse voluto dalle Banche centrali con lo scopo positivo di arginare – seppure tardivamente – l’inflazione, ma che certamente non aiuta la crescita.
Ci sarebbe di che essere molto pessimisti per i prossimi mesi, a sentire alcuni tra cui il Fondo Monetario Internazionale che prevede per l’Italia un 2023 di recessione con – 0,2% del Pil.
Eppure, guardando a come il nostro Paese ha reagito in questi difficilissimi mesi, io non posso che essere fiducioso e prima ancora grato ai nostri concittadini e alle nostre imprese per come hanno saputo reagire. In particolare, proprio Torino è uno dei territori che con le performance dell’export hanno meglio reagito alle difficoltà.
Non sono solo sensazioni. I numeri parlano chiaro. Secondo l’Istat, infatti, l’Italia ha fatto segnare una crescita per il 2022 del 3,9 per cento già acquisita, anche se il quarto trimestre dovesse avere un andamento piatto. E considerando il biennio terribile 2021-2022, l’Italia potrebbe toccare complessivamente un incremento del Pil del 10,6 per cento, meglio di tutti gli altri Paesi del G7. Altro che fanalino di coda!
E noi torinesi – lo ripeto con grande orgoglio – abbiamo fatto ancora meglio.
Nel 2021-2022 la nostra economia è stimata crescere complessivamente dell’11,4%; le esportazioni sono aumentate del 21,2% contro il 19,7% nazionale. Questo a dispetto del difficilissimo momento del mercato automotive europeo, che guarda con preoccupazione anche alla troppo ottimistica fissazione al 2035 della transizione al motore elettrico per tutti.
Non voglio, con questo, minimamente sottovalutare le molte incertezze che dovremo affrontare nel 2023 – per il quale l’Istat prevede solo un + 0,4% di crescita del Pil – prima fra tutte quella geopolitica che dipende da complessi fattori di carattere internazionale, sulla quale, perciò, non abbiamo la possibilità di agire.
Ma molte previsioni sono state smentite e dunque potremmo anche stupirci di novità migliori di quanto prospettato. Speriamo.
Tra le complessità che toccano la sfera economica consentitemi di ricordare, perché coinvolgono molte filiere produttive, la transizione ecologica della mobilità e le nuove norme protezionistiche decise dagli Stati Uniti. Ma queste sono sfide che possiamo affrontare e sono fiducioso che sapremo trasformarle in opportunità di crescita, perché di nuovo: noi italiani abbiamo dimostrato in questi mesi di essere in grado di sorprendere in positivo il mondo intero.
L’importante, ed è l’augurio che faccio alla politica, è non perdere la bussola indicata dal Pnrr e dall’Europa: spendere bene e in tempo i fondi e soprattutto proseguire con le riforme, che richiedono molto coraggio politico (si pensi alla resistenza sulle norme che riguardano la concorrenza nei servizi e all’ambiguo rinvio delle norme sulla giustizia, due riforme da fare entro il 2022).
Alle imprese l’augurio di cogliere le opportunità che ne deriveranno.
Giorgio Marsiaj