"Diteci la verità". È questa la richiesta dei famigliari di Bruno Caccia, a distanza di 40 anni dall'omicidio del magistrato. Questa mattina in via Sommacampagna 15, dove abitava e dove è stato ucciso dall' 'ndrangheta la notte del 24 giugno 1983 mentre portava a spasso il cane, si è svolta una cerimonia di commemorazione. Un momento durante il quale alle parole delle istituzioni, si sono intrecciati i ricordi delle figlie e del fratello.
La figlia Cristina: "Non voleva morisse con lui la sua scorta"
Fu proprio la figlia Cristina una delle prime ad arrivare sul luogo dell'assassinio. "Avevo 23 anni - ha spiegato - ed ero a casa a studiare: ho sentito una sventagliata di mitra. Ha suonato la portinaia e sono scesa sul marciapiede davanti alla nostra abitazione: qui c'era il nostro cane che abbaiava e la gente che chiedeva chi c'era a terra. Ho risposto mio padre, un magistrato". "Lui non amava avere scorta -aggiunge - sapeva di essere un pericolo: se doveva morire, non voleva morissero anche gli agenti".
"Dopo 2 processi, piccole mezze verità"
Cristina, come la sorella Paola e lo zio Guido, chiedono ancora delle risposte sull'omicidio di Bruno Caccia. "In questa città - ha sottolineato Paola, che all'epoca aveva 28 anni e due figli piccoli - camminano delle persone che sanno: dopo due processi, abbiamo solo delle piccole mezze verità". "Non è stato fatto abbastanza, - ha aggiunto - non sono stati utilizzati tantissimi spunti, già emersi ad inizio indagine". E sul momento di ricordo ha aggiunto: "È doppiamente importante ricordare mio padre, con una cerimonia piena di parola così belle. È utile poi perché molti non erano nati. Il mio augurio è che siano richiamati tutti alla propria responsabilità, al dovere di cercare di fare luce anche su questo caso dopo tanti anni".
Caselli: "Legalità fa del bene"
A prendere la parola l'ex magistrato Gian Carlo Caselli: "Bruno Caccia era un uomo di legge: lavorava perché si affermasse legalità". "Molte volte - ha aggiunto - le persone vedono le legalità come una sorta di fastidio, ma è sbagliato. La legalità è un vantaggio, ci fa del bene. In una comunità civile le leggi sono indispensabili".
Ciotti: "Parlare è un dovere"
Molto sentito anche l'intervento di Don Ciotti, che ha rilanciato l'appello della famiglia per ottenere delle risposte. "Oggi - ha osservato il fondatore di Libera - è un giorno di riflessione, silenzio e preghiera. Della memoria, che deve suscitare dentro di noi responsabilità ed impegno. L'80% delle famiglie delle vittime di mafia non conosce verità, ma senza verità non si può costruire la giustizia". "Ci sono momenti in cui tacere diventa una colpa e parlare un imperativo categorico e un dovere" ha concluso Ciotti.
Eventi di ricordo
La cerimonia nel luogo dell'omicidio del magistrato in Borgo Crimea ha segnato l'avvio di una serie di eventi organizzati dal Comune di Torino. "Oggi - ha sottolineato la presidente del Consiglio Comunale Maria Grazia Grippo - è la giornata della memoria, conoscenza e consapevolezza, in cui diamo senso compiuto al nostro dolore per non dimenticare. Iniziamo dal luogo delle barbarie, dove è stato ucciso colui che prima di ogni altro aveva capito quanto fosse pericoloso l'infiltrazione della criminalità organizzata".
Favaro: "Rappresento la comunità torinese"
"Portare la fascia tricolore - ha osservato la vicesindaca Michela Favaro - in giornate come questa pesa tantissimo. Io sono qui a rappresentare tutta la comunità torinese, che sente il peso di quello che è accaduto dopo l'assassinio di Bruno Caccia". "L'appello è che ognuno faccia la sua parte, come Caccia che facendo il suo dovere ha dovuto pagare con il prezzo della vita" ha concluso l'assessore alla Legalità. "Noi abbiamo bisogno - ha osservato il Vicepresidente Daniele Valle, richiamando Don Ciotti - intorno alle regole di costruire consapevolezza, che quelle regole sono lo strumento migliore per stare insieme".