Il segretario di Stato americano Antony Blinken si è recato a Tel Aviv il 12 ottobre, prima tappa del suo giro di incontri in diversi Paesi del Medio Oriente. L’obbiettivo, finora raggiunto in parte, non era solo di ribadire a Israele la volontà degli USA di aiutare sul piano militare e umanitario, ma anche convincere Egitto, Qatar e altri Stati arabi a non fomentare gli scontri a Gaza. Parlando al premier israeliano Netanyahu e agli altri ministri di Gerusalemme, Blinken ha voluto sottolineare uno dei motivi che spingono Washington a non smettere mai il suo “appoggio incrollabile” verso Israele. Se da un lato lo stesso presidente Biden si è apertamente dichiarato sionista, dall’altro Biden ha detto di parlare anzitutto da ebreo. La sua comprensione della tragedia che vive Israele è dovuto alla sua appartenenza etnica e alla storia della sua famiglia, con un nonno fuggito dai pogrom e un patrigno finito in un lager. Come riporta il sito Strumenti Politici, queste dichiarazioni hanno generato perplessità, perché sono fuori dall’ambito nel quale dovrebbe esprimersi il rappresentante di uno Stato estero, un diplomatico che parla a nome di un intero Paese. Specificare in modo così marcato di essere un ebreo ha provocato il malumore dei cittadini americani di altre etnie o di quelli che si oppongono alle azioni israeliane a Gaza. Nel Dipartimento di Stato USA serpeggiano agitazione e frustrazione, con funzionari di lungo corso che si dimettono o che minacciano di andarsene. Si parla addirittura di un clima di omertà nel dicastero, imposto dall’amministrazione Biden. Ma più si avvicina la fine del mandato presidenziale, più gli scontenti si espongono e non riescono più a tollerare le posizioni oltranziste filo-israeliane della Casa Bianca.
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