Il regista Matteo Tortone è reduce dalla grande emozione di ricevere un David di Donatello per il miglior cortometraggio. Classe 1982, dopo aver studiato Lettere all’Università ha lavorato nel campo del documentario creativo e oggi è un alunno del Torino Film Lab. Alle spalle ha già il successo di ‘Mother Lode’ con il quale tra gli altri è stato presentato in concorso alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia 2019.
Il suo ultimo lavoro, ‘Domenica Sera’, è stato premiato lo scorso 7 maggio: “È stato inaspettato, una grande emozione. Al di là del mio lavoro, è un premio che va al film fatto da un gruppo di persone che ha lavorato duramente con pochissimi soldi, credendoci moltissimo, ero lì a rappresentare tutti. Poco prima l’aveva ritirato Carlotta Desmann per la scenografia. È stato bello condividere con un’altra torinese questo momento”.
Il film tratta una storia di periferia che si svolge tra Lucento e Le Vallette: “È una storia che parla di temi universali, legati alla modalità di vivere il proprio tempo durante l’adolescenza. Ragazzi che poi trovano in quegli spazi, tra la città e la campagna, quello strano confine senza delimitazioni per la propria zona di azione”.
Come è stato girare a Torino in quei quartieri in particolare?
“Ho scoperto un vasto mondo di hip hop underground che è stato di ispirazione. Non pensavo ci fosse una vitalità di questo tipo. Una comunità ampissima, con tantissimi artisti che si esibiscono quasi esclusivamente per avere un canale di espressione, nonostante il periodo che è incentrato sulla visibilità. Spaziano dal rap anni ‘80 alla filosofia punk. Da lì, ho poi attinto per il corto e ho cercato alcuni ragazzi, in particolare Nemy, una delle due protagoniste, per realizzare il film”.
Qual è stata l’accoglienza da parte della popolazione?
“I protagonisti si sono messi a disposizione con famigliari, amici, è stato molto coinvolgente. Siamo stati veramente accolti benissimo. Abbiamo girato per tre giorni, dopo quattro mesi di preparazione, tra le torri e i vari luoghi delle Vallette, con una squadra di grandi professionisti”.
Dopo questo progetto, tornerete a girare a Torino?
“Inizialmente avevamo l’idea di sviluppare un lungometraggio. Con il corto che nasce da lì e se vogliamo con questo abbiamo avuto la possibilità di sperimentare le location per poi tornare a girare. Il corto lambisce il lungometraggio, che in qualche modo ci ha consentito di mettere alla prova la squadra. Le tematiche sono molteplici, ma quella che rimane di più e quella che emerge nel finale, è quella del consenso. Nel corto abbiamo voluto raccontare la quotidianità delle giovani donne. Aveva prestato attenzione ai racconti delle ragazze e trovare una ragazza che non fosse mai stata in difficoltà nei confronti di un uomo, è raro. Volevamo raccontare questa situazione, in cui una donna si trova trovarsi a doversi difendere ed evitare la violenza. Il lungometraggio elaborerà questa tematica più nello specifico”.
Torino si sta evolvendo come città del cinema, ma potrà mai arrivare a eguagliare Roma?
“No. Siamo preparati certo, abbiamo le maestranze, ma la capitale del cinema è Roma, qui un po’ si ha la sensazione di vivere alla periferia dell’impero, ma non è qualcosa di cui lamentarsi. La nascita della Film Commission credo sia stata incredibile, sia per la crescita e per la continuità sulle maestranze, sia negli investimenti sulla creatività locale che può andare a competere a livello internazionale. È un periodo di particolare di entusiasmo, sono 25 anni di un lavoro puntuale e serio, in cui il Piemonte ha dato certezze con cui le realtà, soprattutto quelle piccole, possono programmare. Secondo me Torino rappresenta l’avanguardia. In parecchi campi, questa è l’indole della città credo. Non deve cercare di trasformarsi”.
Mercoledì 28 maggio, riceverà, con l’attrice Anna Losano, un omaggio della città di Pinerolo, dove è nato è cresciuto prima di trasferirsi a Torino. Che cosa la lega ancora alla città?
“Mia madre e mia nonna vivono ancora a Pinerolo. Io vivo a Torino con la mia famiglia, le mie relazioni sono quasi esaurite laggiù, ma ho riflettuto molto sulla mia specificità pinerolese e devo dire che è un territorio che ho dato per scontato. Il relativismo culturale legato alla storia valdese è una cosa che mi ha sempre accompagnato, anche nella mia età adulta. Credo che sia principalmente questa che mi porto dietro”.