L'8 e il 9 giugno a Torino, così come nel resto d'Italia, si è votato per i Referendum. Il capoluogo piemontese è la terza provincia d'Italia per affluenza alle urne, ma anche qui non si è andati oltre il 41%. Ad analizzare l'esito del voto Simone Fissolo, capogruppo dei Moderati in Consiglio comunale.
Fissolo, lei pensa che ai fini dell'affluenza sia stato sbagliato accoppiare temi cosi diversi come lavoro e cittadinanza agli immigrati?
"I quesiti che hanno ricevuto più voti sono stati sicurezza sul lavoro e cittadinanza: questi due sono argomenti che toccano ed incidono direttamente sulla vita delle persone ma andavano separati. Per gli altri tre quesiti serviva una laurea in economia".
Secondo lei mettere insieme temi così diversi è stato corretto da un punto politico?
"No e li avrei trattati separatamente. A Torino ci sono state circa 30 mila persone che hanno detto no ai quesiti sul lavoro: elettori che all'epoca avevano sostenuto e votato il Governo Renzi, che continuano ad essere convinti della bontà del Jobs Act. Un voto moderato e di buon senso che dal mio punto di vista va intercettato e ascoltato".
Forse uno dei risultati più evidenti del Referendum sulla cittadinanza è che gli italiani "non vogliono" gli stranieri.
"Sono d'accordo: sulla cittadinanza si incrina il campo largo. Andando a guardare i voti, ci sono 40 mila elettori che hanno votato sì ai quattro quesiti sul lavoro e no alla cittadinanza. Una parte, come dice il parlamentare Riccardo Magi, saranno del M5S, l'altra di compagni non allineati".
Andando ad analizzare il voto su Torino, le Circoscrizioni dove il referendum sull'accorciare i tempi sulla cittadinanza ha ricevuto più no sono la 5 e la 6.
"In questi territori c'è una percentuale più alta di stranieri: sarebbe strano non fosse così. A votare sono andati gli italiani: è normale che chi vive vicino ad una situazione difficile abbia detto no. Il problema per me è dei proponenti, cioè chi ha proposto questi quesiti doveva andare a fare campagna informativa soprattutto a Barriera, Falchera, Aurora e altri quartieri di Torino nord. Probabilmente sono andati invece nelle zone dove erano sicuri si potessero prendere i voti e non dove c'era bisogno".
Torniamo sull'ambito nazionale. Lei come legge il risultato?
"La Cgil ha 5 milioni di iscritti: hanno votato 14 milioni di persone. Vuol dire che non sei riuscito ad uscire dalla tua "comfort zone", hai rinforzato il tuo elettorato ma non hai allargato".
Questione campo largo: per lei ha ancora senso dopo la disfatta del Referendum?
"Io non credo che quest'ultima sia legata al destino politico del Governo. I referendum fanno bene alla democrazia e non bisogna aumentare il quorum, anzi diminuirlo come sostiene l'On. Giacomo Portas, passare al 30% + 1. Poi se il corpo intermedio che organizza i quesiti si concentrasse su questioni reali come i salari bassi ci sarebbero più chance di superare il quorum".
Prima dell'esito si parlava di Maurizio Landini come possibile leader del campo largo.
"Mi sembra che questo risultato non possa incoronare nessuno, se non far riflettere sullo scollamento di alcuni corpi intermedi con la società".