È stata inaugurata a Torino la mostra "Com'eri vestita?", un percorso che colpisce l'indifferenza e costringe a guardare in faccia uno dei pregiudizi più duri da scardinare quando si parla di violenze di genere: l'idea, assurda ma ancora radicata, che la responsabilità possa ricadere sull'abbigliamento della vittima.
"Se solo si fossero vestite diversamente..."
L'esposizione, allestita all'interno del Municipio di Torino e realizzata dall'associazione Libere Sinergie, ricostruisce le storie di donne che hanno subito abusi accanto agli abiti che indossavano al momento della violenza. Sono capi comuni, quotidiani, a volte infantili, che smentiscono con forza il luogo comune secondo cui "avrebbero potuto evitarlo se solo si fossero vestite diversamente".
L'iniziativa è stata promossa dalla Presidenza del Consiglio comunale, in collaborazione con la Consulta Femminile Comunale, all'interno del programma di eventi dedicati alla Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Allestita nel Loggiato antistante la Sala delle Colonne, la mostra resterà aperta al pubblico con ingresso libero fino a venerdì 28 novembre: dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 17:00, il sabato dalle 9 alle 12.
Nel corso della presentazione sono intervenute diverse rappresentanti delle istituzioni, tra cui la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo. Nel suo intervento, ha ricordato l'attenzione riservata dall'assemblea di Palazzo Civico, durante l'attuale mandato, ai temi di genere e in particolare alla violenza di genere. Ha poi sottolineato come la mostra inaugurata oggi contribuisca a smontare una narrazione stereotipata che ancora oggi tende a spostare la responsabilità della violenza su chi la subisce, anziché su chi la esercita.
La battaglia portata avanti da Amnesty International
Accanto alla mostra, l'attenzione torna su un altro tema che divide ma che tocca il cuore del dibattito pubblico: la necessità di introdurre nel nostro ordinamento una definizione di stupro basata sul consenso. È la battaglia portata avanti da Amnesty International con la campagna "Io lo chiedo – Il sesso senza consenso è stupro", che chiede all'Italia di adeguarsi ai parametri della Convenzione di Istanbul, ratificata ormai dieci anni fa. Infatti, oggi la legge italiana collega lo stupro esclusivamente alla violenza fisica, alla minaccia o alla coercizione, lasciando fuori il principio cardine del consenso, già adottato in diversi Paesi europei.
La combinazione tra l'impatto emotivo della mostra e l'urgenza del dibattito legislativo rende ancora più evidente un punto: per combattere davvero la cultura dello stupro non bastano le parole giuste, servono consapevolezza, educazione e una legge che riconosca chiaramente ciò che dovrebbe essere ovvio.


















