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Attualità | 24 gennaio 2017, 15:50

Il treno della memoria parte anche dall’Università

L’iniziativa dell’Università di Torino, prima in Italia, porta anche gli studenti universitari in viaggio ad Auschwitz. A febbraio partiranno in 35, ma il progetto è già un successo

Il treno della memoria parte anche dall’Università

Il treno della memoria è un’esperienza unica, che aiuta a prendere consapevolezza con l’orrore della Seconda guerra mondiale, dei campi di sterminio, dell’odio. Un’occasione per maturare, oltre che come studenti, anche come individui.

Ora questa esperienza, prima confinata soltanto nelle scuole, si potrà fare anche all’Università di Torino. E non in un solo dipartimento o in un solo corso di laurea, ma in tutti. Una novità nel panorama italiano.

Il Rettore, Gianmaria Ajani, è entusiasta. Per i 30 posti messi a disposizione dall’Ateneo, che richiedeva soltanto un contributo di 150 euro, sono state ricevute oltre 300 domande da corsi di laurea diversi, in maggioranza ragazze. E, addirittura, è stato necessario estendere il numero dei partecipanti a 35, perché quei cinque in più si sono offerti di coprire interamente i costi del viaggio. Niente male per il primo anno, segno che un’iniziativa del genere risponde a un bisogno. E sono arrivate domande anche da altre università.

Il progetto, chiamato “Promemoria_Auschwitz” è di carattere nazionale e coinvolge soprattutto le scuole. Quest’anno, dal Piemonte, partiranno 580 studenti. Ma ci sono partecipanti anche da Trentino Alto Adige, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia e Toscana, per un totale di oltre 1300 giovani. Saranno divisi su due treni: il primo partirà il 2 febbraio e farà ritorno l’8; il secondo, che raccoglierà tutti i piemontesi e alcuni studenti di Innsbruck (Austria), partirà invece il 10 febbraio per tornare il 16.

L’iniziativa è promossa da Deina Torino, Studenti Indipendenti e Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza “Giorgio Agosti”.

“Il nostro progetto – ha spiegato Elena Bissaca, vicepresidente di Deina – è nato nel 2013, oggi si è esteso a tutta Italia. L’obiettivo è far capire come si è arrivati, nella Storia, ad Auschwitz, ma cerchiamo anche di ragionare su quale significato abbia la memoria per noi al giorno d’oggi. Il viaggio si concluderà con un momento di restituzione, in cui i ragazzi discuteranno di come condividere questa esperienza con gli altri”. L’Università potrebbe giocare un ruolo chiave. “Proveremo a capire come uscire dall’esperienza frontale per diffondere questa esperienza – ha aggiunto Sara Vallerani, di Studenti Indipendenti –. L’idea è anche quella di coinvolgere altri studenti”.

“Ogni anno – ha sottolineato il professor Bruno Maida, docente di Storia contemporanea a Torino – più di 80.000 italiani visitano Auschwitz, di cui 60.000 giovani, quasi tutti delle scuole superiori. Abbiamo messo a disposizione 30 posti, forse anche in un eccesso di pessimismo, e abbiamo proceduto alle selezioni su basi motivazionali”.

Ma come mai, finora, non ci aveva pensato nessuno? “La difficoltà degli Atenei – ha spiegato Maida – è quella di costruire un percorso didattico”. Condizione per partecipare, infatti, era la partecipazione ad almeno cinque di sei seminari preparatori. Attività più semplice all’interno di una scuola, dove gli studenti seguono un percorso preciso e controllato.

Luciano Boccalatte, dell’Istituto “Giorgio Agosti”, ha precisato che “l’interesse riposto in questa iniziativa è archivistico, per la conservazione della memoria, e formativo, che è uno dei punti che portiamo avanti”.

E tra i selezionati ci sono studenti di varie scuole: Economia e statistica, Lettere classiche e anche Filosofia, come Dario Bassani (al 3° anno di triennale) che coglierà l’occasione per approfondire un proprio lavoro sulla “memoria impossibile”, o come Alberto Greco (2° anno di magistrale) che vede questa iniziativa “in continuità tra la formazione e lo sviluppo di coscienza civile”.

Il prossimo passo sarà allargare l’iniziativa non soltanto in termini numerici, mettendo più posti a disposizione, ma coinvolgendo altri enti, come il Politecnico o l’Accademia di Belle Arti, ma anche il Conservatorio.

Paolo Morelli

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