Chi ha i capelli bianchi e ricorda il Toro tremendista degli anni Sessanta e Settanta, il nome di Angelo Cerese evoca pensieri stupendi. “Trincea” lasciò il Toro per il Bologna proprio in quella stagione 1975/76 che ha consegnato alla storia la squadra di Radice per quello scudetto riportato sulle maglie granata dopo ventisette anni di attesa.
Ne sono passati venti invece dalla demolizione del Filadelfia e ormai è questione di giorni, di ore, la riapertura della casa del Grande Torino. Cereser, che al Fila ha legato moltissimi episodi della sua vita calcistica, parla così della rinascita dello storico impianto: “E’ una cosa fondamentale, non tanto per l’impianto in sé, che è una cosa grigia, fredda, anche se colorata di granata, ma perché rappresenta la rinascita ideologica, morale, dell’amore per questa maglia”.
Un recupero reso possibile dalla passione del pubblico granata di tutta Italia. Ma per Cereser è importante “soprattutto per i giovani. E’ il recupero di un’immagine, di un punto di riferimento. Per far capire che c’è stata una storia vera, non una fiaba, alle spalle del Filadelfia”. Cosa quello stadio rappresentasse lui lo sa bene: “Io sono arrivato qua nel 1960-61, avevo 15 anni e mezzo. Ero figlio unico, senza genitori. Per me è stata una storia di vita, non solo di calcio”. Lui che ha fatto tutta la trafila, dal settore giovanile alla prima squadra, ricorda ancora “quando andavo a fare colazione con il custode alle 9 di mattina, perché non avevo una famiglia. Noi ragazzi si veniva qua in pullman , in tram, si faceva riferimento al Filadelfia con tutti i suoi addentellati. Una seconda casa? Per me il Fila è stata la prima casa”.
Questo 4 maggio per Angelo Cereser ha avuto un sapore speciale, perché non si è ricordato solo il Grande Torino, ma è stato quello che precede la rinascita del Fila: “Non mi sono commosso alla conferenza di presentazione, ma lo farò il 25 al taglio del nastro, quando in molti piangeranno. Perché un conto è viverlo da fuori, un conto è essere lì, con tutta quella gente”. E lui può ben dirlo: “Io il Fila l’ho visto poche volte vuoto, ci ho anche giocato. Chi se lo ricorda, e io lo ricordo bene, quando pioveva il pubblico picchiava il guardalinee o gli avversari con l’ombrello, se passavano troppo vicini alla rete…. Tornano a galla tutti pensieri, i ricordi, di quello che avevi negli anni sessanta”. Una storia di calcio e di vita.