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Attualità | 15 novembre 2017, 07:00

D come Dignità e Dimissioni

Purtroppo, la parola dimissioni, inizia con la lettera D, che è anche l’incipit della parola dignità. Dove manca la seconda, le prime stentano sempre ad arrivare. Ma che vi aspettavate?

D come Dignità e Dimissioni

A sessant’anni esatti da quel fatale 1958, quando per la prima volta gli azzurri restarono fuori dalla competizione iridata, l’Italia resta fuori dai mondiali di Russia 2018. Titoli a tutta pagina e aperture dei telegiornali nazionali di ogni rete, che esprimono stupore, misto a rammarico, per il luttuoso evento.

Ma per chi non aveva le fette di salame davanti agli occhi, era l’unico risultato logico che si prospettava evidente agli occhi e al buon senso e, perdonate l’immodestia, lo scrissi in tempi non sospetti.

Quando il sorteggio pose la nazionale azzurra nello stesso girone delle furie rosse spagnole, con un solo posto a disposizione per l’accesso diretto a Russia 2018, era parso evidente che le difficoltà non sarebbero state poche. E infatti, quando si trattò di trovare un Commissario Tecnico per la nazionale, il fuggi fuggi di mister di belle prospettive fu impressionante. Se la Federazione avesse chiesto chi voleva andare al patibolo, invece di cercare un candidato allenatore, avrebbe avuto maggior fortuna. E così, sfoltita la margherita dei papabili, l’identikit che era rimasto, era quello di un allenatore che non avesse nulla da perdere ad accettare l’incarico.

Detto, fatto, ecco tratteggiato il profilo professionale di Giampiero Ventura.

Giunto senza particolari acuti al termine di una carriera, il cui palmares parla di tre striminzite vittorie in campionato, due in interregionale, con Entella e Pistoiese e uno in C1 col Lecce, non gli è parso vero di chiudere col botto della panchina azzurra, così prestigiosa e così spropositata per il suo reale valore, una carriera mediocre.

Ma se è vero che “io l’avevo detto”, ero in buona e nutrita compagnia. Una larghissima fetta della tifoseria granata, due estati fa, accese ceri a Tavecchio che se lo portò con se, evitando un prolungamento di contratto sulla panchina granata, che sarebbe stato insopportabile ai più.

Noi vecchi cuori granata abbiamo ancora negli occhi le immagini indecorose di Juve Stabia - Torino, prima stagione del Vate in granata, con la palla che girava tra i piedi imbarazzati dei difensori del Toro nella propria metà campo, mentre gli altri giocatori stazionavano, altrettanto imbarazzati, nell’altra metà, in attesa che qualcosa si sbloccasse e la palla, manna dal cielo, giungesse a ravvivare la partita. E che dire della vergognosa melina della stagione successiva, in casa col Genoa a fine campionato, a suggellare un pari che serviva a entrambi per rimanere nella massima divisione?

Così come abbiamo ancora nelle orecchie le scuse più fantasiose, addotte dal mister ligure, nel tentativo di scaricare le sue responsabilità nelle molteplici occasioni in cui le prestazioni della squadra erano palesemente inaccettabili. Mai, in cinque anni sulla panchina granata, ci è capitato di sentirgli dire che era colpa sua e si scusava.

La sintesi, fattami di lui da un grandissimo campione granata del passato che aveva avuto modo di conoscerlo da vicino, era stata lapidaria e con sei parole l’aveva liquidato. “Io vinco, noi pareggiamo, voi perdete”, a sottolineare come la vittoria abbia sempre almeno un padre e la sconfitta sia quasi sempre orfana.

Quindi, quando ebbe inizio l’avventura azzurra di Ventura, agli amici di altre squadre che, sapendo della mia profonda disistima per l’allenatore e per l’uomo, mi facevano notare il suo nuovo incarico, rispondevo che i conti si fanno alla fine.

Bene, ora il conto è arrivato. Ed è un conto salato, non tanto per lui, che il suo bell’ingaggio se l’è portato a casa, quanto per una Nazione intera che ha visto sfumare le sue aspettative sportive e per un sistema che si è visto privato di un giro di soldi, stimato in cento milioni di euro, che avrebbe fatto comodo.

E mentre si attendono le scosse di assestamento, per mutuare un termine sismico che ben si attaglia al terremoto calcistico di lunedì sera, l’intera Italia del pallone aspetta le dimissioni, che sarebbero la logica conseguenza di un fallimento così epocale. Dimissioni non solo del mister, ma anche di chi l’ha fortemente voluto li, in quel posto chiave, ossia il presidente federale Carlo Tavecchio.

Purtroppo, la parola dimissioni, inizia con la lettera D, che è anche l’incipit della parola dignità. Dove manca la seconda, le prime stentano sempre ad arrivare. Ma che vi aspettavate?

Domenico Beccaria

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