Ho rivisto ‘Ultrà’, film del 1991 di Ricky Tognazzi, che vede, tra gli attori protagonisti, il giovanissimo Claudio Amendola.
Non l’apprezzavo, l’ho rivalutato. Non tanto per la fugace comparsa dell’attore Massimo Ferrero, attuale Presidente della Sampdoria, ma perché rievoca, seppure a volte non magistralmente, i fasti dell’epopea ultras degli Anni ‘80-primi Anni ‘90.
Il decennio della fase egemone del fenomeno ultras, descritta attraverso i treni presi d’assalto, come quello ostaggio della ‘Brigata Veleno’, gruppo protagonista della pellicola. Nei dialoghi primeggia il linguaggio ‘borgataro’, fatto di slogan ‘politicamente incorretti’, dove l’odio e il rancore verso le tifoserie rivali si esternano con scritte murali che deturpano ville e palazzi. E le gradinate o i bagni di una Curva, come quelli della Maratona, dove nelle immagini risaltano insulti, nomi o acronimi di gruppi granata e juventini del periodo (alcuni ancora esistenti).
Che nostalgia osservare Piazza San Carlo attraversata da auto e mezzi pubblici e rivedere le vie adiacenti il vecchio Stadio Comunale in preda al traffico.
Persino i ‘rozzi’ ultras, resi tali non dai modi ma da alcuni folkloristici dettagli dell’abbigliamento, appaiono oggi persino più accettabili.
Quando ventisei anni fa vidi quelle immagini per la prima volta, m’incazzai non poco nel vedere il Gruppo deriso e messo alla berlina.
Ricordo quando venne proposto ad alcuni di noi di fare le comparse nel film ma la nostra ‘etica’, il nostro ‘essere’ ultras ci fece propendere per il no. Non sopportavamo la finzione, la manipolazione di uno ‘spettacolo’ che ci vedeva attori - protagonisti ogni dannata domenica. E non amavamo apparire, aberravamo il recitare.
Anche quello era un segno dei tempi. In molti evitavamo il flash delle macchine fotografiche, seppure amiche: innamorati di un anonimato che privilegiava l’azione a scapito dell’emulazione.
Un’epoca che non amava i selfie, che odiava le pose, che aveva più paura dell’obbiettivo che dello scontro di piazza. I social forum erano i banconi di una birreria, i tavolini di un bar, gli sgabelli di una piola.
I postumi dei nostri diverbi non si percepivano nei post, ma dai cerotti sotto gli zigomi. Un nome e un cognome scanditi senza esitazione erano un’infamia, oggi la logica degli eventi.
Meglio o peggio?
Ai futuri Ultrà, se ancora ne rimarranno, l’ardua sentenza.
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