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Attualità | 04 maggio 2018, 07:35

La leggenda degli uomini straordinari

Nel 69esimo anniversario della tragedia di Superga parla Franco Ossola, figlio dell'omonimo campione: "Senza il 4 maggio il Grande Torino avrebbe continuato a vincere a lungo”

La leggenda degli uomini straordinari

Era il 4 maggio 1949 quando l'aereo del Grande Torino, di ritorno dalla trasferta di Lisbona, dall'amichevole contro il Benfica, finì il suo volo contro il muraglione del terrapieno della basilica di Superga. E in un attimo quella squadra è passata dalla storia alla leggenda. Una formazione i cui nomi erano conosciuti dai ragazzini del dopoguerra come una filastrocca: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola.

Architetto, campione di atletica in gioventù, scrittore, ma soprattutto cantore delle gesta degli Invincibili. Franco Ossola deve il suo nome ad un padre che non fece in tempo a conoscere, complice la tragedia aerea di Superga, che strappò al calcio e alla vita una squadra entrata nel mito. Nessuno meglio di lui può ricordare, a 69 anni di distanza, il Grande Torino.

Franco, cosa è stata e cosa è quella squadra per te?

“Tutta la mia vita. La tragedia di Superga mi ha tolto un padre che non ho mai potuto conoscere, ma crescendo ha avuto la possibilità di raccontare la parabola umana e sportiva di un gruppo di giocatoriche sono stati più di una squadra per l’Italia del dopoguerra. Li caratterizzava l’estrema umiltà, la consapevolezza di essere dei privilegiati in quei tempi duri che avevano vissuto, perché quasi tutti provenivano da famiglie modeste. Sapevano che fortuna avevano giocando assieme, perché vincendo tanto vivevano bene anche se, sia chiaro, non erano certo ricchi, perché guadagnavano cifre neppure paragonabili agli stipendi dei calciatori di oggi. Tanto è vero che già quando giocavano pensavano al dopo calcio, a come investire i loro guadagni per garantirsi qualcosa, dopo aver finito carriere che all’epoca difficilmente andavano oltre i 32-33 anni”.

Quale segreto aveva quella formazione?

“Intanto già all’epoca era chiamata Grande Torino, perché il suo valore era unanimemente riconosciuto. Un valore fatto non solo di grandi imprese sportive, ma anche di moralità. E poi erano tutti gran giocatori, per il periodo assolutamente straordinari, che trovavano ne loro affiatamento un ulteriore punto di forza. Allora non c’erano le sostituzioni o la panchina lunga, giocavano quasi sempre gli stessi e quindinel tempo quel gruppo aveva affinato ulteriormente le sue qualità perché aveva imparato a giocare a memoria. Se ognuno di loro valeva dieci, messi assieme non facevano 110, magari con la lode, ma 120”.

Il famoso quarto d’ora granata, in cui capitan Valentino si rimboccava le maniche e sotto la guida della tromba di Bolmida il Torino stritolava gli avversari, è esistito davvero o è una leggenda alimentata dalla tragedia di Superga?

“Basta andare a rileggersi le cronache dell’epoca, i tabellini delle partite. Il Grande Torino era in grado di segnare 3 o 4 gol in pochi minuti ad ogni avversario. Soprattutto al Filadelfia, il suo tempio, dove è stato imbattuto per anni, ma a me piace ricordare due vittorie ottenute a Roma. Nel 1945/46 e nel 1947/48 segnè entrambe le volte sette reti, nella prima occasione facendone 6 in 18 minuti, la seconda volta rimontando lo svantaggio alla fine del primo tempo. Quando segnava, quella squadra poi dilagava”.

Resta tuttora ineguagliato e lo resterà probabilmente per sempre il 10-0 all’Alessandria.

“Il Toro vinceva quattro a zero alla fine del primo tempo. Nella ripresa stava facendo melina, ma la cosa non piacque ad alcuni tifosi, ci fu un alterco con Mazzola, che quasi era salito sulle reti per andare a risolverla vis a vis con quella gente. Lo calmarono, ma lui diventò una furia in campo assieme ai suoi compagni e a farne le spese fu la povera Alessandria. Il Torino non si fermò più e arrivò a quota dieci. E quella partita è poi entrata nella storia anche per un’altra ragione”.

Quale?

“Avevano segnato tutti i titolari della squadra, mancava solo Gabetto all’appello, così i compagni provarono in tutti i modi a farlo arrivare al gol, che giunse puntuale poco prima del 90’. Le marcature le aveva aperte mio padre, che in quel modo aveva collezionato un filotto di otto domeniche consecutive. Un record che resiste ancora oggi e senza l’infortunio che gli impedì di giocare la partita successiva, magari Franco Ossola avrebbe continuato ancora”.

Domanda banale ma inevitabile. Il Grande Torino vincerebbe anche nel calcio moderno?

“Bisogna intendersi su cosa sia la qualità calcistica. Oggi si gioca a un ritmo forsennato, che inevitabilmente  va a scapito della precisione in molti casi, ma la tecnica posseduta dai giocatori del Grande Torino era di gran lunga superiore a quella di molti dei campioni di oggi. La differenza è che quelli attuali corrono di più e sono più allenati, ma quando pensiamo a Valentino Mazzola, a Maroso, a Gabetto, ma anche a Ossola o a Menti, parliamo di valori assoluti, senza tempo”.

Altra domanda inevitabile. Quella squadra, senza Superga, avrebbe continuato a vincere ancora oppure, visto che si vociferava di un possibile addio di Mazzola nel 1949, con la sua partenza sarebbe finito tutto?

“Il presidente Novo allora aveva le mani su tutto il mondo calcistico più importante, era già pronto a rinnovare il Grande Torino. Si diceva che alla fine di quel campionato avrebbe voluto acquistare il giovane Amadei, visto che Gabetto cominciava ad avere la sua età. Da un paio d’anni si diceva che capitan Mazzola volesse andare a Milano per guadagnare di più, dal momento che era considerato da tutti il più grande calciatore italiano: era il capitano, il grande trascinatore di quel gruppo. Allora aveva 30 anni e sapeva di avere davanti a sé ancora due, tre anni al massimo ad alti livelli, ma Novo aveva già il rimpiazzo giusto in casa con il giovane Rubens Fadini, un talento cristallino, che già nell’ultima stagione si era affacciato con discreta continuità in prima squadra. E con Martelli aveva già un Grezar più giovane in squadra. Insomma, quanto a lungo avrebbe ancora vinto è impossibile dirlo, di sicuro avrebbe continuato a primeggiare o almeno a rimanere nell’eccellenza, perché nelle idee della società c’erano giocatori come Bassetto della Sampdoria e l’immenso Di Stefano, molto prima che andasse al Real Madrid”.

“Il Romanzo del Grande Torino” e “Grande Torino per sempre” sono due pietre miliari della bibliografia di Franco Ossola. L’anno prossimo saranno 70 anni da Superga, hai già in mente qualcosa?

“Io continuo a sfogliare almanacchi, vado sempre alla ricerca di cose nuove, pochi anni fa per Priuli e Verlucca ho ricostruito, con una carrellata fotografica, l’ultima partita del Torino a Lisbona, l’amichevole con il Benfica. Però alla lunga si rischia di essere ripetitivi. Magari lo sono stato anche nel corso di questa chiacchierata”.

Massimo De Marzi

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