"Se il nuovo Governo Lega – 5 Stelle sceglierà di recedere dall’impegno formale sottoscritto dall’Italia per la realizzazione della TAV, il Paese incorrerà in una drammatica perdita di credibilità nei rapporti internazionali, riesumando la deteriore immagine di voltagabbana che, con tanto serio lavoro, a fatica, ci siamo scrollati di dosso".
Non usa mezze parole, Dario Gallina, presidente dell'Unione Industriale di Torino, per commentare l'ipotesi ventilata in queste ore sul passo indietro che il nuovo esecutivo potrebbe mettere in atto sul tavolo della Torino-Lione. "Bisogna essere davvero miopi per pensare di poter tornare indietro da scelte tanto rilevanti sia in termini economici, sia sociali per la vita del nostro Paese - prosegue Gallina -. Innanzitutto il recesso costerebbe all’Italia circa 2 miliardi di euro, in quanto dovremmo restituire all’Europa il 50% dei finanziamenti erogati per gli studi ed i progetti, la quota di costi sostenuta dalla Francia, nonché sprecare tutti i soldi degli italiani già investiti nell’opera".
E aggiunge: "Si tenga conto che oggi alla realizzazione della TAV lavorano 800 lavoratori e che in capo a 2/3 anni, con il potenziamento dei cantieri, sarebbero progressivamente saliti sino a 8mila unità. Ma soprattutto, il danno economico per le imprese sarebbe gravissimo: sparirebbero infatti tutti gli appalti per un valore di 5,5 miliardi di euro, già in assegnazione entro il 2019. Per un’area economica come la nostra, con una ripresa ancora debole e un settore edile in sofferenza, l’idea di cancellare la TAV non può essere frutto che di una visione avulsa dalla realtà.
I fatti parlano chiaro: ad oggi sono già stati realizzati più di 23 chilometri di gallerie, pari al 14 % del totale. Tornare indietro non si deve e non si può. I lavori sono ad uno stadio troppo avanzato per recedere e non è vero che i costi per ultimare l’opera sono proibitivi. È falso. La spesa complessiva a carico dell’Italia, su un totale di 8,6 miliardi finanziato al 40 % dall’Europa, è infatti di 2,3 miliardi, circa quanto ci costerebbe recedere, privandoci però di un’opera fondamentale per il trasporto di merci e persone e facendo di Torino una Città capolinea, merce di scambio nelle trattative sul programma".
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