“Oh, how are you, my friend?”. Così tanti delegati di Terra Madre si ritrovano quest’anno a Torino, abbracciandosi tra gli stand di Lingotto Fiere, dopo lunghi e stancanti giorni di viaggio. Hanno il sorriso di chi ha appena iniziato una nuova avventura, l’eccitazione palpabile che può animare solo chi ama profondamente ciò per cui vive e in cui crede. In questo caso, il cibo, ma non alimenti qualsiasi: il cibo che fa della cura delle materie prime locali il suo bene più prezioso, il cibo che crea comunità e relazioni abbattendo le barriere, il cibo che unisce cultura distanti nel mondo senza badare a differenze di ceto, religione o nazionalità.
I circa 7 mila produttori internazionali riuniti in questi giorni al Salone del Gusto rappresentano per la città una sfida e un’occasione: per riscoprirsi aperta e accogliente verso chi ha bisogno di un tetto sotto cui dormire, e arricchirsi di saperi ancora inesplorati, visitando a piedi – e con i cinque sensi in allerta – tutti i continenti in un solo pomeriggio.
I protagonisti della rete globale Slow Food raccontano storie dal sapore di vita, terra, speranza nei suoi frutti. Carlin Petrini, durante l’inaugurazione, lo ha detto forte e chiaro: “Venite a Terra Madre, venite a vedere il lavoro di questi delegati”, con un’attenzione particolare alle donne, fondamentali per l’agricoltura in tutto il mondo. E, non a caso, le prime ad accogliere il visitatore curioso nell’area espositiva dell’Oval sono proprio le coloratissime contadine dell’Africa orientale, con un altrettanto variopinta esposizione di semi sotto uno sguardo amorevole da madri premurose.
Occhi e mani che si incrociano scambiandosi energia produttiva, saperi antichi, tradizioni popolari. Come il cioccolato “Maya” fatto a mano in Messico, una tecnica che Slow Food ha diffuso anche nel Togo, insegnando nei villaggi a sfruttare al meglio le piante di cacao, lavorandone le fave essiccate direttamente su pietra. C’è poi il waranà, pianta coltivata da secoli dagli indigeni dell’Amazzonia brasiliana, ingrediente fondamentale per la preparazione di una bevanda da usare nei riti collettivi. Ma, dove il sacro si unisce al profano, ecco che dal Brasile spuntano fuori altri unguenti miracolosi, come il “Miranta”, dal doppio utilizzo: va bene contro le calvizie, ma è anche un ottimo afrodisiaco.
Augusto Daniel, cileno, fa assaggiare il prodotto di un peperoncino tra i presidi Slow Food del cono sud dell’America latina, il merkén, condimento tradizionale ma molto raro. “Troppo piccante?”, chiede divertito. Da Kabul Bario mostra orgoglioso la sua vasta gamma di spezie afghane, spiegando tutte le proprietà dello zafferano contro il formarsi dei cellule cancerogene. Cambiando di emisfero, una famiglia dell’Australia sudoccidentale espone il tipico “Finger Lime”, qui noto come caviale di limone per via delle vescicole presenti nel frutto, che masticandole si rompono in bocca.
C’è poi il mare profondo dei pescatori, addirittura proveniente dall’Islanda. Un’azienda dei Paesi Bassi è in pieno assetto da rock band, con tanto di magliette nere griffate, stivaloni di pelle e mano lesta per aprire ostriche a più non posso. “Un mio amico una volta si è conficcato un coltello nel braccio mentre tagliava il pesce”, racconta Johan, alto, snello e con lunghi capelli biondi. “Dopo non ha più potuto suonare la chitarra”. Ma fortunatamente Terra Madre è rosso sangue solo per il vino: come il kominyak, fatto nella regione di Tikveš , in Macedonia, dal sapore dolce dei frutti rossi.
Tutto il mondo, al Salone del Gusto, è paese. E, per una volta, non si tratta affatto di un luogo comune.