"Penso al futuro perché da domani ho deciso di farne parte". Parafrasa Albert Einstein il presidente dell'Amma, Giorgio Marsiaj, che oggi al Museo dell'Auto di Torino celebra i suoi 100 anni di attività, al culmine di un programma che ha scandito già i mesi passati e che oggi richiama i massimi rappresentanti delle istituzioni del territorio, da Chiara Appendino a Sergio Chiamparino, passando per John Elkann, a rappresentare il mondo FCA, il presidente dell'Unione Industriale di Torino Dario Gallina, l'ex presidente di Amma, Gianfranco Carbonato e molti altri, anche a nome del mondo sindacale. "Ma per creare il futuro serve una chiamata all'azione, dopo un periodo storico caratterizzato da mutamenti incredibili: serve un piano e bisogna fare sistema, per attuare quella coralità produttiva che ci consenta di affrontare il mutamento di paradigma che abbiamo di fronte. Se lavoriamo insieme possiamo guardare al futuro con lo stesso entusiasmo dei nostri nonni e dei nostri genitori".
Guardando al passato, il presidente ricorda: "L'Amma non nacque con intenti antisindacali, ma confrontandosi con le rivendicazioni e puntando alla firma di un contratto", prosegue Marsiaj. E ancora sul futuro è categorico: "Non dobbiamo solo attirare capitali stranieri, ma anche trattenere quelli già presenti. Siamo in un Paese restio ad affrontare le riforme: manca una visione di lungo periodo, quella che invece dobbiamo avere noi nelle nostre aziende. E dobbiamo rivedere da cima a fondo il nostro modo di fare impresa".
Da Einstein passa poi a Kennedy: "Di fronte al cambiamento molti uomini ai chiedono perché. Io mi chiedo perché no". E torna al governo: "Negli ultimi anni sono stati approvati provvedimenti che divergono dalla razionalità economica. E non possiamo accontentarci dell'approccio che porta alla crescita stentata di questi tempi. Serve crescita, che dia origine allo sviluppo e al lavoro: non chiediamo regali, ma che ci sia un Piano industriale e un Piano dell'auto. E che non ci si metta i bastoni tra le ruote. Non è possibile che un Paese che ha insegnato al mondo ad andare in automobile non abbia un Piano ad hoc".
E ancora: "Non si hanno aziende competitive se non si opera un Paese competitivo. Dalla burocrazia all'evasione, chiediamo che il Governo faccia ciò che non è stato fatto in passato. Serve un territorio attrattivo e competitivo". E l'aspetto del lavoro è strettamente collegato: "La disoccupazione giovanile è del 33-34% a Torino. Siamo tra le aree con il dato più alto d'Italia. Non è accettabile: chi si deve occupare di questo problema? Noi creiamo occupazione, ma bisogna che ci diano una mano perché ce ne siano le condizioni. E il tempo è diverso da quello che si aveva una volta: si deve fare in fretta".
Si torna a Torino: "Sono orgoglioso dei nostri cento anni e qui da noi c'è una capacità di fare impresa unica in Europa. Solo noi siamo in grado di creare certi prodotti: non siamo qui per riscoprire l'industria, ma per potenziare quel che c'è di forte. Oggi però non dobbiamo tenere di metterci in gioco e di aprirci a partnership internazionali se questo permette di fare crescere le nostre aziende: capitali stranieri, joint venture, ma anche visioni internazionali del fare impresa". "Non dobbiamo avere paura della Cina, del Brasile o della vicina Germania e poi dobbiamo lavorare e investire sulla formazione. Proprio qui, decenni fa, la Fiat se n'è accorta e ha fatto nascere la scuola Allievi Fiat".
"Manca però una disposizione a collaborare: bisogna agire secondo una condivisione di intenti e in questo momento si fa fatica, ma non c'è più tempo e bisogna cominciare a farlo".