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Eventi | 17 ottobre 2019, 10:38

"Traduciamo gli antichi per smascherare il falso nel presente": inizia il Festival del Classico a Torino

Fino a domenica 20, incontri e spettacoli sul potere liberatorio della verità. Questa sera, lectio inaugurale di Massimo Cacciari e un reading di Moni Ovadia

"Traduciamo gli antichi per smascherare il falso nel presente": inizia il Festival del Classico a Torino

Riprende oggi, per il secondo anno consecutivo, il viaggio umanistico in compagnia di letterati e filosofi alla scoperta delle nostre radici, incontrando i grandi padri del sapere occidentale lungo un cammino che ambisce a raggiungere lo svelamento della menzogna. Al via la seconda edizione del Festival del Classico, incentrato sul tema “La verità ci renderà liberi. Progetto della Fondazione Circolo dei lettori e Regione Piemonte, presieduto da Luciano Canfora e curato da Ugo Cardinale e Massimo Arcangeli, il festival tesserà le fila di un intreccio fra tutte quelle arti e scienze legate alla ricerca o all’uso del vero. 

I primi due appuntamenti della giornata inaugurale sono dedicati ai giovani e alle scuola. Si comincia infatti con la lezione inaugurale di Massimo Arcangeli, che incontra il pubblico e gli studenti del liceo classico “Massimo D’Azeglio”, spiegando quanto e perché sarebbe utile un dizionario delle sfumature e quali parole e significati rischiamo di perdere per sempre. Alle 16, al Circolo dei lettori, va in scena la Semifinale #1 del Torneo di disputa classica, sul tema "L’inganno del vero persuasore": dopo l’introduzione dello scrittore Matteo Nucci, le due squadre di studenti delle scuole superiori di Piemonte e Valle d’Ao­sta si sfidano in una competizione oratoria, volta a convincere i giudici della bontà delle ragioni presentate.

Si entra nel vivo del festival alle 18, presso l’Aula Magna della Cavallerizza Reale, con l’introduzione di Luciano Canfora, in un intervento sul “falsovero”, quella verità apparente figlia della parola seduttiva, “pubblicitaria”, che domina la vita sociale, dalla politica al business. A seguire Massimo Cacciari, prendendo le mosse dal suo libro “La mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo, si concentra sull’inquieto filosofare tipico del pensiero umanistico, alla ricerca della pace e delle verità ultime. La giornata si conclude in chiave teatrale: Moni Ovadia propone un reading dal breve trattato politico di un “Anonimo Ateniese” incentrato sulla divisione tra “buoni” e “malvagi”, sulla democrazia come “violenza del popolo”, un sistema apparentemente oppressivo e deleterio, eppure paradossalmente perfetto.


Prof. Cardinale, il tema della prima edizione era la “Res publica”. Quest’anno il festival torna a parlare alla collettività: da dove nasce l’esigenza di ricercare il vero e quali declinazioni assume?

Il titolo di questa seconda edizione si è manifestato come un imperativo: la verità ci renderà liberi. Ci siamo chiesti cosa lo rendesse necessario ai tempi d’oggi. L’attuale società sembra assuefatta da una verità apparente, il cosiddetto falso vero. La parola, spesso, si sostituisce ai fatti, mentre il discorso scientifico è considerato ingannevole. Dato che i classici hanno messo in piedi modelli di narrazione che ci risultano tuttora riconoscibili, bisogna attingere agli antichi dilemmi per ritrovare l’origine della verità. L’alternativa sarebbe quella di accontentarsi di una realtà apparente. Noi invece crediamo in una scommessa: far sì che l’incontro con i testi dei nostri antenati stimoli una visione critica del presente, che elimini i pregiudizi. Gli antichi non fornivano riposte assolute, ma ci incitano ancora oggi a indagare, toglierci le maschere, rompere il velo di superficialità. Del resto, l'etimologia di aletheia rimanda proprio allo stato di non essere nascosto, essere evidente. Questo si riconnette al ragionamento sulla libertà, intesa come scelta individuale di perseguire il vero. 

La verità, per sua stessa natura, è un tema multiforme e articolato. In che modo sarà sviluppato nel corso della rassegna?

I principali filoni saranno il rapporto tra la verità e il potere, lo smascheramento della storie false, lo scavo in interiore homine e la percezione dello straniero, accentuando il passaggio semantico da hospes, il nemico, a hostis, l’ospite. Ma anche il discorso sui diritti umani, le differenze e le analogie che possiamo riscontrare tra noi e i nostri antenati, il valore della ricerca scientifica, e, naturalmente, il mondo della scuola. In particolare ci interrogheremo sul futuro dei licei classici e dell’editoria: l’avvento dell’autoproduzione nei singoli istituti può davvero portare alla fine dell’era dei manuali? Cercheremo di darci una risposta.

La scuola è sicuramente il primo terreno di prova per entrare a contatto diretto con i classici. È lì che ci si dota dei mezzi necessari per orientarsi in mezzo alle tante verità di cui la società attuale è satura…

Certamente il problema principale di oggi è l’assenza di un’adeguata strumentazione critica. Per questo ritengo il confronto con i testi classici fondamentale fin da giovanissimi, soprattutto se si ha la possibilità di tradurli dal latino e dal greco. Un popolo che non traduce, per me è condannato alla chiusura eterna. Accostarsi a essi significa avere a che fare con argomentazioni e contro-argomentazioni molto forti: è la base della dialettica. Noi italiani dovremmo in primis recuperare una nostra tipica tradizione d’eccellenza rispetto ai licei umanistici, un tempo giudicate le scuole migliori al mondo. Oggi non è più così. Dipende forse dal metodo di insegnamento? Il digitale, che dà e continuerà a dare infinite opportunità di lavoro, va conosciuto e gestito. Nell’antichità non esistevano scale gerarchiche tra le discipline in base all’indirizzo di studi scelto: è un errore, quindi, sottovalutare le materie scientifiche in un liceo classico, così come lo studio della letteratura in uno scientifico. È necessario recuperare una dimensione sincretica, che abbatta i pregiudizi. Come sentenziava Kant: sapere aude.

Manuela Marascio

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