Una vita dedicata al disegno e alla musica, ricercando di continuo la tenerezza nel lavoro interamente fatto a mano, unico e non riproducibile, quale veicolo di emozioni visive. Barbara Giovinazzo, pinerolese, classe ‘74, ma residente a Torino, ha iniziato a produrre la sua arte sui banchi di scuola, dilettandosi, tra una lezione e l’altra, in simpatiche caricature di compagni e professori. Poi il trasferimento a Londra nel 1998 per studiare filosofia e perfezionare l’inglese, lingua con cui ha girato per l’Europa e l’America a partire dal 2003, fondando l’etichetta discografica indipendente GB Sound. L’esordio nella pittura è arrivato pochi anni fa, nel 2016, con la prima mostra incentrata sul suo particolarissimo personaggio illustrato, dolce, malinconico e, a suo modo, “parlante”, partecipando alla mostra dedicata al design-gioiello contemporaneo presso Villa Carlotta, a Como. Nel 2018 ha collaborato con la linea di vestiti “Born In Berlin”, a Torino, omaggiando gli anni ’50 con la creazione dei “Teddy Boy”, e, per due anni consecutivi, è stata selezionata all’interno dei Torino Graphic Days, esponendo al Museo Egizio l’opera “Big Babbel”, dedicata al tema dell’integrazione culturale. Attualmente le sue opere sono in vendita da “Creativity Oggetti”, a Torino.
“Il mio stile – racconta Giovinazzo – è caratterizzato dal linee semplici e tratti volutamente imprecisi, facilmente accostabili ai disegni per bambini, ma hanno ben poco di infantile. Gli adulti, che rappresento senza bocca, subiscono la contaminazione dalla società consumistica in cui sono immersi, mentre i bambini ne sono esenti ed esternano liberamente un’intensa nostalgia. L’osservatore, guardando il disegno, entra in empatia con i soggetti e condivide il loro medesimo stato di felicità mista a tristezza. La malinconia la fa da padrona, ma non in senso negativo: è come una compagna fedele che ti è sempre accanto nella vita e ti permette di fare le cose con più entusiasmo. Una disegno di facile interpretazione, che tuttavia racchiude una complessità emotiva di fondo, rinunciando a grossi particolari per prediligere pochi elementi essenziali”.
Il motivo ispiratore? Il cinema, ma anche il fumetto. “Sicuramente Tim Burton mi ha influenzata, ma devo molto anche a tanti illustratori francesi. Poi, col tempo, ho cercato di trovare una dimensione solo mia, creando personaggi immediatamente riconoscibili, un po’ come con Charlie Brown, inconfondibile”.
Dalla tela alla porcellana, che Giovinazzo ha rivisitato in chiave moderna, rivitalizzando tecniche da sempre appannaggio della tradizione più classica, trovano posto in Gbart anche tanti volti noti pop-rock e dello spettacolo, in generale. Da David Bowie ad Amy Winehouse, da Prince a Robert Smith, fino a interi set di tazzine con protagonisti i Rolling Stones e i Kiss. Ma anche Albano e Romina per un caffè di coppia, Maurizio Costanzo, David Lynch, Woody Allen e la moda di Coco Chanel e Vivienne Westwood. Nel catalogo, consultabile anche online sul sito gbart.it, a ogni pezzo è associata una canzone.
“La musica e il disegno sono sempre andati di pari passo, nella mia carriera – racconta Giovinazzo -. A 18 anni ho scoperto The wall dei Pink Floyd ed è stata un’autentica epifania: da allora mi sono immersa completamente in quel mondo, fino a diventare tour manager. L’occasione è arrivata grazie a un contatto fortunato con il chitarrista degli Extreme, poi ho lavorato per diversi anni a Los Angeles. Lì la musica è realmente considerata un lavoro come tutti gli altri. Ero una discografica e come tale venivo trattata, pur essendo una donna in un ambiente prettamente maschile. Poi sono sopraggiunti due fattori. La musica stava cambiando, il rock soprattutto, i giovani uscivano molto meno per sentire concerti o comprare dischi, l’avvento di Internet ha cambiato le carte in tavola. E sono diventata mamma, quindi la mia vita da nomade in giro per il mondo ha iniziato a pesarmi. Ho deciso allora di fare qualcosa esclusivamente per me, dedicando tutta me stessa alla mia arte. Di carattere sono sempre stata molto timida, disegnare è stato un vero sforzo espressivo. Mi sono fatta coraggio e ho iniziato a seguire un corso di pittura su porcellana, a Torino. La mia insegnante, però, ci ha visto lungo: già alla terza lezione mi ha detto che avevo bisogno di esprimere ciò che avevo dentro, e non limitarmi a disegnare fiorellini e decori. Dopo la nascita della seconda figlia, mio marito se ne è andato di casa, e per me disegnare è stata una vera terapia, al pari di una relazione umana, come l’amicizia più pura. Sono rinata, e ora le persone vedono nelle mie opere esattamente la proiezione del loro sentimento. L’emozione dell’osservatore diventa così la vera protagonista”.
Tra gli ultimi lavoro, la serie “Bears”, dove un grande orso simboleggia la protezione dai pericolo e la fiducia ritrovata in un caldo e confortante abbraccio.