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Attualità | 22 gennaio 2021, 19:27

"Noi, in prima linea contro il Covid, rischiamo per dare sollievo ai pazienti. Il loro sorriso ci ripaga"

Quasi un anno di emergenza Covid, anche per gli uomini della Croce Rossa di Carmagnola: "Abbiamo paura, facciamo turni massacranti, ma non possiamo sottrarci al nostro dovere"

Croce rossa Carmagnola

La sede della Croce Rossa di Carmagnola

"Da quando è scoppiata la pandemia è cambiato tutto. Sono scomparsi tutti i servizi tradizionali privati. Veniamo chiamati principalmente o per un caso accertato di Covi-19 o per un caso sospetto". E' un racconto da chi è stato in prima linea, quello di Pier Domenico Tuninetti, presidente della Croce Rossa di Carmagnola. E che in prima linea c'è ancora, perché l'emergenza non è finita.

Perché chiamati in trincea, ad affrontare il Covid-19, non ci sono solo medici e infermieri o virologi studiati. A percorrere le strade e trasportare i pazienti contagiati dal virus ci sono le ambulanze, guidate da quelli che tutti ormai definiscono "eroi", che quando tornano a casa la sera si chiedono se avranno contratto il virus anche loro, eppure il giorno dopo sono di nuovo lì sul fronte. Come Mario Berardi, una delle persone che presta tempo ed energie alla causa del bene comune con la divisa della Croce rossa carmagnolese. "Ho paura, certo - ammette Berardi -, ma non posso sottrarmi al mio dovere. Adottiamo tutte le precauzioni necessarie. Ci 'imbardiamo' e ci disinfettiamo. Indossiamo tutto il giorno, tutti i giorni delle uniformi pesanti che ti si incollano addosso e che sono difficilissime da sopportare. Eppure non abbiamo altra scelta. L'emergenza che si è scatenata ci ha obbligato a 10-15 corse al giorno, con punte di 40. Da perdere la testa. La cosa assurda è che molti in questo periodo, dopo averci contattato, fanno marcia indietro. Chiedono dove saranno portati. Hanno paura che gli possa capitare qualcosa e quindi preferiscono non essere trasportati".

"L'ospedale di Carmagnola - aggiunge Tuninetti - si è trasformato in una struttura dedicata esclusivamente ai malati di Covid-19. Sono scomparse le emergenze a cui siamo sempre stati abituati". Con un timore: "La maggior parte di quelli che vengono definiti guariti, potrebbero non essere altro che gente trascurata o che si trascura. Gente che non viene più seguita o che non si fida più dei servizi delle strutture sanitarie perché ha paura e convive col dubbio di essere ancora contagiato".

"Il motivo per cui vado avanti - prosegue Berardi - è la gratitudine dei pazienti dopo la guarigione. Dalla gioia, a volte si mettono a cantare quando sanno di ritornare a casa. Altre volte si preoccupano di consegnarti una scatola di cioccolatini e i loro sorrisi e i loro occhi sono commoventi. Lì vedi così felici che ti rendi conto di avere trovato la tua vocazione in qualche modo. Per molti di loro siamo una famiglia. Anche perché molti dei familiari non vengono a trovare il proprio parente che è stato contagiato. Per paura ovviamente. Quindi loro rimangono soli".

La quotidianità, però, spesso si scontra con le necessità. "Ci serve un supporto maggiore. Non dico che non ci arrivi alcun tipo di aiuto - conclude Tuninetti -, ma i rifornimenti vanno via come neve al sole. Noi qui rischiamo la salute, rischiamo la vita sulla strada, rischiamo di infettarci. E nonostante questo siamo nell'ombra. Non che abbiamo bisogno di pubblicità, ma la gente deve sapere che abbiamo un ruolo da protagonisti e in prima linea in questa battaglia". 

Giovanni Cugliari

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