Ancora bandiere e presidio di lavoratori, in via Magenta. Se la pandemia allenta la presa e permette di tornare a manifestare in strada, non migliora la situazione del tessuto economico torinese, che conta con il CSP una nuova crisi cui fare fronte.
Sono i dipendenti del Centro ricerche nato ormai decenni fa per fare innovazione in campo ICT a temere per il proprio futuro. Con la fuoriuscita di numerosi soci fondatori, infatti (tra cui gli enti locali) la strada sembra ormai portare alla messa in liquidazione. Il che vuol dire rischi occupazionali per i 18 ricercatori rimasti in servizio, dei 50 che erano soltanto tre anni fa.
Una vera stranezza, visto che mai come in questo periodo i temi dell'innovazione tecnologica e digitale, soprattutto per il mondo delle aziende, sembra essere una priorità irrinunciabile.
Ecco perché, dopo l'annuncio arrivato nelle scorse settimane, oggi le RSU, la Fiom CGIL e i rappresentanti dell'azienda (che oggi conta su Urmet e Aizoon come soci) si sono seduti intorno al tavolo organizzato dalla Regione. "Abbiamo voluto rimarcare le nostre preoccupazioni, ma anche l'importanza di questo settore al giorno d'oggi tra sviluppo, ricerca e innovazione - dice Giuseppe De Masi, responsabile CSP per Fiom CGIL - ma la Regione, pur non potendo entrare direttamente nelle decisioni dei soci, si è detta disponibile a fare tutto il possibile per non disperdere il patrimonio di Csp in questi trent'anni. A cominciare dalla possibilità di sviluppare nuovi progetti e magari, tramite Finpiemonte, all'ingresso di nuovi soci".
Ulteriore disponibilità è stata garantita per assistere e accompagnare i dipendenti. "Ma è uno scenario che non vogliamo nemmeno prendere in considerazione. Il tavolo è riprogrammato tra 25-30 giorni e nel frattempo ognuno farà quanto nelle possibilità per risollevare le sorti del CSP". Mancava al tavolo il Politecnico "che secondo noi è l'interlocutore principale, se si parla di ricerca. Abbiamo chiesto più volte un incontro, ma senza risposta".