Ho trovato la parte migliore di me
Quando nessuno poteva aiutarmi
Ho capito che il senso di questo se c’è
Non tornare indietro sui miei passi,
Serro i ranghi e vado avanti,
Siamo spiriti danzanti,
Ho trovato la parte migliore di me
Stando in disparte ad osservare gli altri
“Ho trovato la parte migliore di me”: è questo il titolo della canzone registrata da 7 ragazzi con disabilità intellettiva, protagonisti di un laboratorio di rap terapia condotto da Zuli, musicista molto noto nell'underground torinese e non solo.
Il progetto “Me too”
L'iniziativa (finanziata dal bando della Regione Piemonte “Progetti speciali per persone con disabilità”, ndr) fa parte di un progetto più ampio di inclusione lavorativa, nominato “Me too”, promosso dalla Cooperativa Sociale Patchanka in collaborazione con la Città di Torino, l'Unione Montana dei Comuni delle Valli Chisone e Germanasca, Coldiretti Piemonte, Diaconia Valdese, Cooperativa Paradigma, UGI e Fondazione Paideia: “Oltre all'inclusione socio-lavorativa - spiega Claudio Megliola, responsabile del progetto per Patchanka – attraverso percorsi di orientamento, ricerca attiva e redazione del curriculum, 'Me too' ha anche costruito esperienze di socialità. Per questo abbiamo scelto di inserire anche alcune attività collaterali: il laboratorio rap è stato scelto direttamente dai ragazzi dopo avergli chiesto cosa potesse interessare”.
Il laboratorio rap di Zuli
La registrazione del brano non è stata solamente un semplice svago ma anche un vero e proprio strumento di empowerment personale e collettivo: “Il mio laboratorio rap - sottolinea Zuli – è un format riconosciuto che utilizza quel codice espressivo come mezzo per rielaborare i propri vissuti. Nel corso del tempo l'ho proposto all'interno di educative territoriali, comunità di minori, psichiatrie, centri ospedalieri che trattano disturbi alimentari e in molti altri contesti ed è sempre arrivato all'obiettivo senza lasciare indietro nessuno. Questa è la dimostrazione che il rap può essere utilizzato come aggancio per dare a tutti l'opportunità di esprimersi”.
L'esperienza si è sviluppata, in modo pratico, attraverso la scrittura a “14 mani” della canzone, la sua registrazione grazie a uno studio mobile, il montaggio e la post produzione in studio con i tecnici: “Attraverso la ricostruzione delle colonne sonore della vita di ogni partecipante – prosegue Zuli – sono riuscito ad entrare in empatia con loro, chiedendogli in seguito di mettersi nei panni dei musicisti: quello che è emerso in modo prorompente è stata la voglia di raccontarsi. Il rap, in casi come questo, può essere uno scudo con cui difendersi quando rielaborare diventa difficile: con il rap lasci al mondo un pezzo di te alleggerendo il contributo di fatica e sofferenza verso la vita”.
La soddisfazione dei “rapper per caso”
La soddisfazione per quanto fatto traspare anche dalle parole degli stessi “rapper per caso”: “È un bel lavoro - commenta Marco, definito come la “voce soul” del gruppo – che non vedo l'ora di far ascoltare a tutti”. “Grazie al rap – aggiunge Lorenzo – ho avuto modo di trasmettere a tutti la mia crescita, non è stato facile ma è un lavoro che mi è piaciuto molto e che vorrei ripetere”.