“Dal 1988, sempre liberi e indipendenti”: è questo il motto, ripetuto come un mantra al termine di ogni concerto, dei Persiana Jones, storica band ska core canavesana che proprio quest'anno festeggia i 35 anni di carriera. Una storia nata nella fervente scena undergound torinese degli anni '80 e in grado di attraversare oltre 3 decenni di musica alternativa e indipendente senza scendere a compromessi. Una storia che, questa sera, verrà celebrata con un concerto speciale con ospiti a sorpresa in scena all'Hiroshima Mon Amour di via Carlo Bossoli 83 a Torino (ingresso 12 euro con apertura porte alle 21 e inizio spettacolo alle 22); l'occasione è buona anche per presentare il nuovo album “Una vita fantastica”, uscito lo scorso 2 giugno per l'etichetta UAZ Records.
In vista della grande festa di questa sera, abbiamo intervistato l'anima dei Persiana, rappresentata dai fratelli Silvio e Beppe Carruozzo, rispettivamente voce e basso del gruppo nonché principali compositori di testi e musiche.
Partiamo dal nuovo album “Una vita fantastica”, arrivato a 16 anni da Just for Fun: perché tutto questo tempo di attesa dal precedente?
Dopo l'uscita di “Just for fun”, nel 2007, abbiamo attraversato un momento di crisi che ci ha portati a non voler più fare dischi. Poi, poco alla volta, è venuto fuori del materiale nuovo da pubblicare su alcuni EP digitali, non tutti usciti a causa della morte del nostro produttore Carlo Ubaldo Rossi. Dopo aver ritrovato l'entusiasmo, però, è scoppiata la pandemia, mentre a Beppe è stato diagnosticato un cancro: nel 2021, fortunatamente, ci siamo ritrovati in sala prove iniziando a far uscire nuovi pezzi tra una grigliata e qualche concerto. Poco alla volta, in modo molto semplice e naturale, le canzoni sono diventate sempre di più, tanto da convincerci a tornare in studio nel febbraio di quest'anno.
Passiamo al titolo: possiamo dire che sia il riassunto della vostra vita artistica?
Sicuramente: ripensando a questi 35 anni possiamo dire di aver vissuto un'esperienza fantastica che ci ha permesso di vedere e fare cose che, altrimenti, non avremmo potuto né vedere né fare. Abbiamo fatto 1250 concerti, alcuni dei quali davvero incredibili e indimenticabili come quando nel 2004 abbiamo suonato prima dei Motorhead a Trutnov, in Repubblica Ceca, davanti a 25mila spettatori e in uno scenario naturale incredibile. Oppure agli Indipendent Days di Bologna nel 2001 prima di Muse, Ska-P e Manu Chao davanti a 60mila persone. Oppure in Slovacchia prima dei Fun Lovin' Criminals. Non avremmo potuto desiderare di più.
Uno dei temi ricorrenti nelle vostre canzoni è quello del tempo: com'è cambiato il vostro rapporto con lui rispetto agli esordi?
Una volta eravamo talmente abituati a vivere velocemente tutto quanto da non riuscire a goderci fino in fondo i momenti migliori: quando suoni 3 volte alla settimana, d'altronde, manca davvero il tempo. Nel nostro periodo di attività più intensa siamo arrivati a fare 72 date in un anno: nel giro di pochi giorni, addirittura, abbiamo suonato a Torino, a Digione in Francia e a Tarragona in Spagna letteralmente senza capire dove fossimo finiti. Quando vivi così in fretta, però, rischi di perderti per strada e lasciare indietro gli amici; adesso, invece, sappiamo goderci di più l'attesa e riusciamo ad assaporare meglio sia i rapporti con le persone che con la vita in generale.
Un altro tema che vi sta molto a cuore è quello del saper cogliere l'attimo, del non avere rimpianti: ripensando alla vostra carriera, c'è qualcosa che non rifareste? O che fareste diversamente?
Sì: col senno di poi, forse, tante collaborazioni con agenzie e affini le lasceremmo volentieri perdere. Al contrario,però, senza quelle collaborazioni forse avremmo fatto una carriera musicale meno soddisfacente. Al di là di tutto, non abbiamo rimpianti e il nostro hard disk è pieno di ricordi pazzeschi: è stato tutto davvero eccezionale e l'augurio che facciamo ai nostri figli è quello di vivere almeno una parte di quello che abbiamo vissuto noi.
Parliamo di “rapporti umani”: nell'album ci sono diversi ospiti con caratteristiche affini alle vostre. È stata una vera e propria “scelta di campo” e di coerenza?
Assolutamente sì: da sempre leghiamo di più con persone e artisti che condividono, come noi, gli stessi ideali e lo stesso stile di vita rock 'n' roll o che hanno fatto un percorso parallelo al nostro. All'interno di “Una vita fantastica”, a proposito, ci sono diverse collaborazioni con amici di lunga data come Madaski e Bunna degli Africa Unite, partecipazioni che hanno dato forma e colore al nuovo album.
A proposito, ho apprezzato molto l'omaggio ad Elisabetta Imelio con l'inserimento in track list de “La fine della chemio”, suonata nel vostro stile con Gianmaria Accusani dei Sick Tamburo e Bunna: perché questa scelta?
L'abbiamo scelta perché, dopo averla sentita in acustico a uno spettacolo di Accusani, ci ha commosso molto: prima di tutto perché conoscevamo molto bene Elisabetta, avendoci suonato insieme ai tempi dei Prozac+, e poi per la comune esperienza di Beppe con la malattia. Lo stesso Gianmaria ha poi accolto con grande entusiasmo la nostra idea, interpretando il pezzo con grande trasporto lasciandosi coinvolgere dall'atmosfera; lui è bravissimo e non lo scopriamo di certo ora.
In questi 35 anni siete stati “fedelissimi” al sound che vi ha sempre contraddistinto: perché e cosa rappresenta per voi? Non avete mai pensato di cambiare strada?
In realtà non abbiamo sempre avuto questo tipo di sound, ma siamo stati protagonisti di un'evoluzione continua forgiata dalle varie formazioni prima a 3, poi a 9, poi a 12 con percussionisti e coriste, poi a 5... A contribuire in modo fondamentale a questo percorso sono state anche le moltissime ore di musica ascoltate in furgone durante i viaggi: tra il 2003 e il 2007, ad esempio, siamo passati da un disco praticamente punk come “Brace for impact” a uno decisamente più morbido come “Just for fun” con l'aggiunta di un dj. Negli anni successivi abbiamo fissato il nostro sound abbandonando il dj e concentrandoci sulle due chitarre: la formazione attuale è in assoluto la migliore dei Persiana Jones.
Negli anni '80 Torino era proprio una delle “capitali” non solo italiane della musica “alternativa”: è ancora possibile sperimentare ed essere “liberi e indipendenti” come in quegli anni?
Le band attuali sono decisamente meno spregiudicate di quanto lo eravamo noi o gli Africa Unite all'epoca. Adesso, purtroppo, prevale la tendenza a cercare la sicurezza e a seguire le regole.
Cosa ne pensate dei talent e della scena musicale indipendente attuale?
Pur non seguendo molto X Factor, dobbiamo dire di essere stati favorevolmente impressionati dall'esperienza pazzesca degli Omini: 3 ragazzini in grado di salire su quel palco e spaccare. È altrettanto bello, inoltre, che i Maneskin siano riusciti a dare una possibilità al rock di emergere. Detto questo, se dai talent escono cose valide ben vengano, anche perché ormai rappresentano una delle poche strade per entrare in certi canali.
Come si immaginano i Persiana Jones nel futuro?
Non siamo mai stati abituati a fare grandi progetti, per cui viviamo alla giornata!