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Politica | 05 agosto 2024, 17:02

Solidarietà verso il popolo curdo, Defend Kurdistan Torino in ricordo del genocidio degli Ezidi

Pubblicato il comunicato ricevuto da delle e dei giovani provenienti da diversi paesi europei, tra cui anche l'Italia, al momento in delegazione a Shengal, territorio liberato dall'ISIS nel 2014

Solidarietà verso il popolo curdo, Defend Kurdistan Torino in ricordo del genocidio degli Ezidi

Defend Kurdistan Torino, campagna nata nel 2019 in seguito agli attacchi contro il Kurdistan siriano da parte dello Stato turco, ci gira questo comunicato che racconta di aver ricevuto da delle e dei giovani provenienti da diversi paesi europei, tra cui anche l'Italia, al momento in delegazione a Shengal, territorio liberato dall'ISIS nel 2015.

DELEGAZIONE EUROPEA: 3 AGOSTO RICORDO del GENOCIDIO degli EZIDI 

In questi giorni fa caldo in Şengal, anche di notte il termometro non scende sotto i 25 gradi. Faceva altrettanto caldo esattamente 10 anni fa, quando l’ISIS invase la regione e iniziò il genocidio contro gli Ezidi.

Nel cuore della notte, alle 2 del mattino del 3 agosto 2014, gli islamisti lanciarono l’offensiva sugli insediamenti ezidi intorno ai monti Sinjar, nel nord-ovest dell'Iraq.

Dal primo momento fu chiaro a tutti che l’offensiva non avrebbe solo riguardato la comunità ezida, ma più profondamente, il risveglio della minaccia dell’ISIS, coinvolgeva il mondo intero.  

La regione in cui si trova la delegazione di giovani provenienti da diversi Paesi europei si chiama Şengal o Sinjar, a seconda di chi lo chiede. Da secoli è la terra della comunità ezida, comunità etnica ma anche religiosa, questa caratteristica regionale unica è stata ripetutamente motivo di massacri e ondate di espulsioni.

La comunità ezida contava 82 milioni di persone prima delle 74 stragi che l’hanno coinvolta. Tra massacri e genocidi, di cui molti hanno avuto luogo durante l’Impero Ottomano. Nonostante questi la comunità ezida ha resistito, si è conservata e oggi conta circa un milione di persone. 

L’ultimo genocidio è stato perpetrato per mano dell’ISIS che, continuando la sua avanzata per anni, ha conquistato città dopo città in Iraq e Siria, controllando intere regioni dei Paesi in crisi. Da Baghdad a Kobanê, da Damasco a Mosul, conquistando, in quest’ultima, gli arsenali di armi all’avanguardia dell’esercito iracheno, opprimendo brutalmente coloro che non riuscivano a fuggire da esso. 

Şengal era il logico passo successivo: agli occhi dell'ISIS era una zona abitata da “infedeli” e questo ha fornito agli islamisti una giustificazione ideologica per attaccarla.

Gli abitanti di Şengal erano consapevoli di questa minaccia tanto quanto gli osservatori internazionali o le potenze locali, tra cui il KDP, il partito più potente della regione autonoma curda, che all'epoca controllava Şengal. 

Così sotto pressioni internazionali le unità del KDP hanno consegnato alcune armi alla popolazione locale, per poi ritirarle poco dopo non mantenendo la promessa di proteggere la comunità. Quando l'ISIS ha attaccato Şengal, le truppe sono fuggite lasciando indietro la popolazione disarmata.  Le immagini della giornalista ezida Berfin Hezil, che la mattina di quella domenica ha chiamato disperatamente le truppe del KDP in fuga, hanno fatto il giro del mondo. 

La popolazione di Şengal non aveva altra scelta che fuggire e l'unica opzione era la montagna. Uomini, donne e bambini sono fuggiti verso le montagne il 3 e 4 agosto, con temperature superiori ai 50 °C, la maggior parte senza cibo né acqua. 

Coloro che non avevano nemmeno questa possibilità erano alla mercé degli islamisti. Solo in questi due giorni sono state uccise migliaia di persone. Circa 10.000 tra donne e bambini furono rapiti. Mentre i giovani sono stati separati dalle loro famiglie e trasformati in bambini soldato nei campi dell'ISIS, migliaia di donne e ragazze sono state violentate, ridotte in schiavitù, vendute e rapite. La delegazione oggi ha visitato la Scuola Rossa dove migliaia di donne, di cui alcune giovanissime, sono state isolate, stuprate dalle milizie di Daesh e vendute per mesi come oggetti sessuali a sceicchi e uomini potenti.

Mentre le truppe del KDP fuggivano e il mondo guardava il genocidio in diretta televisiva, sono state le Unità di Difesa del Popolo YPG e le Unità di Difesa delle Donne YPJ a lasciare la Siria per combattere in Iraq e liberare la cosiddetta “via dell’umanità” per le persone intrappolate. Con l'aiuto delle unità alleate del PKK, accorse sul posto, hanno permesso a centinaia di migliaia di persone di fuggire. 

Oggi, a 10 anni esatti dal genocidio che è stato anche uno dei più grandi femminicidi della storia recente, 2900 donne ezide sono tutt’ora scomparse.

A tutt'oggi, solo una piccola parte delle persone fuggite dal genocidio è ritornata.

Decine di migliaia si sono recati in Europa, soprattutto in Germania, dove oggi vive la più grande diaspora ezida, con 200-250.000 persone. Tuttavia, la stragrande maggioranza vive ancora nei campi nel nord dell'Iraq. 

A Şengal, le donne hanno da tempo preso in mano la propria vita. Come quelle che nel 2014 sono state le prime a schierarsi al loro fianco e a creare un'amministrazione autonoma nel Rojava, nel nord-est della Siria. La delegazione infatti ha visitato alcune donne nelle loro sedi organizzative autonome, dove si trovano per discutere dei problemi della società, la condizione delle donne di Şengal e trovano soluzioni strutturali. 

Oltre a ricostruire la regione, l'autogoverno ha un compito centrale: l'autodifesa. "Moriremo di coraggio non di schiavitù" ci ha detto la ci presidente del TAJE (Tevgera Azadiye Jinen Ezidra, (Movimento delle donne libere ezide)

La promessa che guida l’autogoverno di Şengal oggi è che mai più nessuno dovrà decidere il destino degli Ezidi se non loro stessi.

Le unità di resistenza, formate nel 2014 per pura necessità e addestrate dall'YPG e dal PKK, sono ancora oggi una componente centrale dell'autodifesa. I membri di queste unità agiscono solo su richiesta d’intervento della società, prendendo decisione in modo cooperativo e democratico con questa, comprendendo il problema alla radice, senza attuare un sistema punitivo. 

Le richieste, non da ultimo dalla Turchia, che vede le YBŞ come parte del PKK, sebbene si siano ritirate da Şengal anni fa, di sciogliere l'organizzazione e i tentativi di attuazione sia da parte irachena, sia da parte del KDP curdo sono stati finora infruttuose.

Nel frattempo, il più grande avversario dell'autorganizzazione in Şengal non è più l'ISIS, anche se il pericolo delle cellule dormienti non è stato completamente eliminato nemmeno in Şengal. Il più grande problema di sicurezza oggi è la Turchia. Essa attacca ripetutamente Şe gal con droni o jet da combattimento. In questi casi, il Ministero della Difesa turco parla di "terroristi neutralizzati", come ha fatto solo poche settimane fa. L'8 luglio, un drone ha attaccato un'auto nella regione di Şengal. Ma non ha colpito nessun "terrorista", come sostiene la Turchia. Quattro giorni dopo, Mirad Mirza, giornalista della radio ezida Çira FM, è morto dopo essere stato gravemente ferito nell'attacco. Stava tornando con i colleghi da un'intervista con i sopravvissuti al genocidio.

Mirad Mirza non è affatto l'unico civile ezida a essere stato ucciso dai droni turchi a Şengal. In una mossa particolarmente simbolica, la Turchia ha bombardato il municipio di Xanesor nel 2020, ma nessuna persona è morta nell'attacco. Il messaggio della Turchia è chiaro: non accettiamo l'autogoverno curdo, non importa dove, anche se si tratta di ezidi.

Di fronte al silenzio internazionale l’abbandono istituzionale, la delegazione di giovani è riuscita a conoscere e visitare l’auto amministrazione di Şengal; l’organizzazione della società dai giovani alle donne, dell’educazione all’ecologia. Dal massacro vissuto la comunità ezida è riuscita a rialzarsi e costruire un’alternativa che si ispira dalla proposta organizzativa sociale e politica di Abdullah Öcalan, il confederalismo democratico. 

La forza delle donne, della cultura, dell’unione delle differenze è qualcosa che ci deve ispirare a guardare e analizzare i problemi della nostra società, per avere il coraggio di comprenderne le radici e rispondere ai bisogni di ciascuno.

comunicato stampa

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