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Copertina | 24 settembre 2025, 00:00

Tutor Consulting, la sicurezza prima di tutto: “Il rischio zero non esiste, ma è quello a cui dobbiamo tendere”

Bruno Ranellucci, General Manager dell'azienda di Nichelino con oltre vent’anni di esperienza sul campo: "Non si può morire per lavorare e un buon imprenditore sa che deve operare mettendo la sicurezza tra i propri obiettivi"

Tutor Consulting, la sicurezza prima di tutto: “Il rischio zero non esiste, ma è quello a cui dobbiamo tendere”

Come è nata la vostra azienda?

Tutor Consulting è nata nel 2013, 12 anni fa, da un incontro all’insegna dell’amicizia e dello sport. Io, Bruno Ranellucci, allenavo la squadra di calcio dove l’ingegnere Ottone Lambiase era un mio calciatore. Da qui, attraverso la condivisione di capacità e interessi comuni, è nata la nostra azienda. Abbiamo preso uno studio e avviato l’attività dal desiderio di creare una società di servizi per le aziende. Oggi l’ecosistema in cui operiamo è vario e possiamo vantare un network importante di aziende e collaboratori. Ci occupiamo di sicurezza a 360 gradi, formazione e consulenze aziendali. 

A chi rivolgete i vostri servizi?

Ad ogni tipo di impresa, senza esclusione. Ad oggi operiamo su tutto il territorio nazionale. 

Perché è importante investire in sicurezza?

Per una questione etica, sopratutto. Perché ne va della vita e della salute dei propri dipendenti. Ma anche per una questione economica. Operando in sicurezza, secondo le normative, si evitano sanzioni e carichi penali pendenti sulla propria azienda che possano inficiarne la reputation. Non si può morire per lavorare e un buon imprenditore sa che deve operare mettendo la sicurezza tra i propri obiettivi aziendali.

Dai cantieri al settore alimentare, come si opera sui diversi settori?

La nostra capacità è quella di poter variare servizi, nella continua sfida di migliorarsi e far sì che chi si rivolga a noi prenda a cuore il tema della sicurezza. Il nostro payoff è "Insieme per la tua crescita”. Vuol dire condividere un percorso, che passa attraverso la consapevolezza del rischio e dei vari fattori che lo compongono, dalla salute dei lavoratori, alla sicurezza ambientale. Tutto questo va fatto nel rispetto delle norme che ci chiede lo Stato. Ma è l’azienda che deve decidere di spostare la mentalità verso quest'ambito e affrontare un percorso di crescita. Così riusciamo ad entrare in una dinamica diretta e il tema sicurezza diventa normalità. Come svegliarsi al mattino e lavarsi la faccia. Come mettere l'abito giusto. Potrei andare a una matrimonio in tuta, ma sarebbe fuori luogo. Così è nel mercato del lavoro. Bisogna avere il vestito giusto, rispettando le normative, dimostrando attenzione ai dipendenti, ma anche alla committenza. 

La sicurezza passa anche dalla formazione. In che modo?

La formazione al di là dell’obbligatorietà, con l’ultimo accordo Stato-Regioni che pone ulteriori attenzioni sul tema, è alla base dell’imprenditoria, ma anche di una qualsiasi persona. Una persona edotta è una persona che è in grado di gestire qualsiasi momento. Se acquisisco competenze, posso tendere a aumentare performance e referenze. Oggi una formazione continua è necessaria per non farsi trovare impreparati. È la base per la crescita professionale. E questo vale a maggior ragione nella sicurezza. 

I recenti casi di cronaca accendono un riflettore sul tema. Come si lavora per evitare che queste tragedie possano accadere?

I riflettori sono accesi da tempo. D’altronde parliamo di una normativa, la legge 81 del 2008, che esiste da 17 anni e in continuo aggiornamento. Capita che le aziende la scoprano oggi. Questo perché sono aumentati i controlli e le obbligatorietà e tutti corrono al riparo. Lo Stato sta avendo sempre più attenzione al settore. Il comparto edile, specie in quest’ultimo periodo di bonus, è dove si verificano più incidenti. Non passa giorno che non muore qualcuno. E gli incidenti mortali non tendono a scendere, nonostante ci sia una continua revisione legislativa. C’entrano le nuove ondate di migrazione, con la manodopera straniera che spesso non è formata per operare in sicurezza, per problemi linguistici, ma anche di superficialità dei datori di lavoro. C’è una tendenza crescente a far lavorare persone in nero, senza spiegarli come svolgere correttamente le mansioni e a volte senza le giuste protezioni. E così i dati sono quelli di una guerra, migliaia di morti ogni anno sul posto di lavoro. Come contraltare a questo fenomeno c'è l’aumento dei controlli.

Si potrà mai arrivare al rischio zero?

Assolutamente no. Non bisogna fare demagogia. Però è quello a cui si deve ambire. L’obiettivo non è eliminare, ma tendere allo zero e limitare il danno. L’incidente può avvenire, ma si può gestirlo. Si può avere un infortunio, ma è necessario agire per evitare le morti. Tecnicamente noi lo chiamiamo "rischio residuo”, quel margine minimo che può sfuggire ad ogni azione messa in campo per la sicurezza sul lavoro. Ma da “residuo” non può diventare “totale”. Non è più accettabile in una civiltà moderna. 

Come si applicano le nuove tecnologie nel vostro lavoro?

Si passa dal monitoraggio dello stato di salute dei lavoratori con l’intelligenza artificiale. Da apparecchiature che permettono di monitorare battito cardiaco e saturazione del sangue, o valutare l’esposizione al freddo al caldo di chi opera all’aperto. Oggi c’è possibilità di monitorare cantieri con droni per valutare l’efficienza in ambito di sicurezza. Ci sono sensori e telecamere di ultima generazione che permettono di fare sorveglianza anche in quei settori esposti a rischio infortuni o morte.

Quali prospettive si apriranno nel vostro ambito nei prossimi anni?

Le prospettive seguono la norma. Più la norma sarà stringente, più saremo chiamati dalle aziende a intervenire su richieste più puntuali, di organigramma, sorveglianza sanitaria ecc. Il trend sarà maggiori controlli, che faranno emergere tutte quelle realtà che non hanno provveduto a ottemperare alla norma, che monitora un mondo del lavoro che è molto eterogeneo. Si deve cercare di svolgere questa tipologia di attività nel modo più preciso possibile. Da parte nostra occorre essere molto preparati e dialogare con gli enti preposti con la finalità di ottenere il risultato più corretto, tendendo all’eccellenza. 

Quali sono le prossime sfide?

L’obiettivo di Tutor Consulting è continuare a migliorarci. Noi, insieme ai nostri collaboratori. Vogliamo essere in grado di poter supportare le aziende a tendere al rischio zero. La nostra sfida è quella di riuscire ad appassionare le aziende al nostro modo di fare consulenza. Se creiamo consapevolezza e passione vuol dire che stiamo facendo un buon lavoro. Nel nostro staff non vogliamo solo tecnici, ma consulenti a 360 gradi che sappiano aiutare il cliente e gestire situazioni che si creano in ogni realtà aziendale. Questo si fa, come stiamo facendo, creando figure tecniche di altissimo livello. 

Daniele Caponnetto

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